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Matteo Berrettini, dalla depressione alla vittoria in Davis: il ritratto di un campione che ha avuto “il coraggio di non mollare”

Matteo Berrettini ha inciso il suo nome nella storia dello sport italiano: la storica doppietta azzurra in Coppa Davis è anche merito suo. “Ho avuto il coraggio di non mollare, questa vittoria la dedico anche a me”: ricomincia, da Malaga, la storia sportiva del tennista romano. Berrettini schiaccia Botic Van De Zandschulp, con il punteggio di 6-4, 6-2, e conquista il primo punto azzurro nella finale contro l’Olanda, poi Sinner completa l’opera battendo Tallon Griekspoor in due set: l’Italia vince la terza Coppa Davis della sua storia, la seconda consecutiva in uno storico back-to-back mai riuscito nel decennio che fu di Adriano Panatta.

Parte del merito di questo successo va al tennista romano. Nel 2023, quando Sinner&Co alzavano l’Insalatiera 47 anni dopo l’ultima volta, Berrettini era in panchina, ad esultare come il primo dei tifosi. “Schieratemi dove volete, anche capo ultras”, ribadisce alla vigilia del suo debutto in singolare a Malaga quest’anno. Questa volta è decisivo anche in campo, già nel doppio della speranza, che vince, insieme a Jannik Sinner, contro gli argentini Molteni e Gonzalez grazie ad una prestazione solidissima. “Matteo ha giocato in modo incredibile, oggi mi ha portato in braccio”, conferma il numero uno al mondo dopo la partita. Da quel momento in poi, non ce ne sarà più bisogno. Non serve contro l’Australia, quando Berrettini è chiamato a sostituire Lorenzo Musetti in singolare. Contro Kokkinakis, il tennista romano perde un primo set dominato, ma non si demoralizza, anzi, ritrova le giuste vibes e rimonta, regalando alla sua squadra la finale, poi vinta contro l’Olanda grazie alla sua terza vittoria della settimana.

Il successo di Berrettini in Coppa Davis è la storia di un trionfo sognato, dagli esordi di una carriera che non era quella di un predestinato alla rinascita dopo gli infortuni che lo hanno fermato sul più bello. “Una volta da ragazzo in una finale di serie A1 dove c’è l’inno nazionale il ‘Bole’ (Simone Bolelli, ndr) mi ha detto: ‘Pensa come ti sentirai quando difenderai i colori dell’Italia’. A volte devo darmi dei pizzicotti per rendermi conto che è tutto vero”, dice il romano alla vigilia del suo debutto in singolare. La sua storia inizia proprio da lì, da quella finale di Serie A1, e arriva sul tetto del mondo, dove ora risuona l’inno di Mameli.

Un futuro da non predestinato
Sboccia tardi, Berrettini: il tennista romano fa il suo esordio agli Internazionali d’Italia del 2017, contro il connazionale Fabio Fognini. In quel momento ha 21 anni ed è numero 264 al mondo. Scala in fretta la classifica e un anno dopo, nel 2018, vince il suo primo titolo, a Gstaad, un trionfo che segna anche il suo ingresso in top 100. È una sconfitta, però, a cambiare le sorti di una carriera fino a quel momento ancora senza acuti. A Wimbledon 2019, Berrettini perde al quarto turno contro Roger Federer. Il risultato è di quelli che restano nella storia: 6-1, 6-2, 6-2 in poco più di un’ora, una durata che farebbe scalpore anche nei match al meglio dei tre set. “A fine partita gli ho chiesto quant’era per la lezione… ma è una lezione che mi servirà, ne sono certo”, dirà Berrettini al termine di quella partita. E così sarà, perché da quel momento comincia una vera e propria scalata: raggiunge la semifinale degli US Open, diventando il primo italiano a riuscirci, poi si qualifica per le ATP Finals, dove diventa il primo azzurro a vincere una partita al Torneo dei Maestri. Infine, chiude l’anno all’ottavo posto del ranking mondiale. Se la sua ascesa è frenata momentaneamente dal lockdown e dalla pandemica del 2020, è nel 2021 che il suo potenziale esplode definitivamente.

L’anno della consacrazione
Si potrebbe dire che sia stato lui a riportare per primo il tennis nelle case degli italiani: l’11 luglio 2021, Matteo Berrettini è il primo tennista azzurro a disputare la finale di Wimbledon. Il romano arriva a Londra dopo i quarti di finale al Roland Garros e la vittoria nell’ATP 500 del Queen’s. Due anni dopo la ‘lezione’ di tennis subita da Federer, Berrettini torna sul campo centrale di Wimbledon, questa volta in finale. Perderà contro un Novak Djokovic ancora numero uno al mondo, in quattro set: “È stata una battaglia”, lo ammette anche il serbo. Il romano entra quindi di diritto tra i migliori tennisti al mondo. E la sua ascesa sembra non volersi arrestare: raggiunge i quarti di finale anche agli US Open, dove viene eliminato nuovamente da Djokovic, e si qualifica alle ATP Finals, le prime che si giocano a Torino. Quel torneo, però, dura davvero troppo poco: alla prima partita, contro il tedesco Alexander Zverev, Berrettini è costretto a ritirarsi dopo un set e un game, a causa di un infortunio muscolare agli addominali. Comincia, così, un lunghissimo calvario.

Gli infortuni, la discesa in classifica, la depressione
“Nel mio piccolo demonizzavo quella parola lì: depressione. Per me era una roba tipo, no, non è possibile”. A dirlo è Berrettini, protagonista di una puntata di “Zeta“, la serie prodotta da Red Bull che celebra lo sport italiano attraverso le voci di cinque atleti azzurri. L’infortunio alle Finals del 2021, infatti, è solo il primo di una lunga lista di stop a cui il romano è costretto a intervalli quasi regolari per oltre due anni. Dopo Torino, The Hammer rientra agli Australian Open 2022, dove accede in semifinale, ma si infortuna di nuovo: a marzo si frattura il mignolo della mano destra e resta fermo per tre mesi. Torna in estate e domina sull’erba: le vittorie a Stoccarda e Queen’s promettono un suo exploit a Wimbledon, dove, paradossalmente, è tra i favoriti per la vittoria finale. Ma nel giorno del debutto risulta positivo al Covid-19: è costretto a ritirarsi, il fato sembra voltargli di nuovo le spalle di nuovo. Seguono infortuni e prestazioni altalenanti. Nel frattempo, perde lentamente posizioni nel ranking mondiale: esce dalla top 10, poi dalla top 30. Nel 2023, a Montecarlo, si fa di nuovo male agli addominali ed è costretto a saltare la stagione su terra. Esce quindi dai primi 50 al mondo. Non si arrende e quando sembra essersi messo alle spalle i dolori muscolari all’addome, ecco che il conto si ripresenta ancora più salato: al secondo turno degli US Open, contro il francese Rinderknech, è una brutta distorsione alla caviglia a tenerlo ai box fino a marzo di quest’anno, quando scende alla posizione numero 154 del ranking mondiale. Un calvario: “Non volevo perdere posizioni in classifica e questo mi portava a crearmi molte pressioni. Ho sentito il bisogno di ritrovare la gioia per il tennis”, confessa Berrettini ad agosto. Quello dello Slam americano, infatti, è l’undicesimo infortunio in tre anni, un’enormità. Per quanto difficile da accettare, però, il tennista romano riesce comunque a ritrovare il sorriso. “Ci siamo detti che non avremmo pensato al ranking”: inizia così la rinascita di Berrettini.

È tutto vero: campione del mondo
L’urlo di gioia di Berrettini. Quello visto contro Van De Zandschulp, match che vale agli azzurri il primo punto della finale di Coppa Davis tra Italia e Olanda, è lo stesso di aprile, a Marrakech, quando il romano è tornato a vincere un titolo ATP due anni dopo l’ultima volta. La sua stagione è un crescendo: vince a Gstaad e Kitzbuhel, tornei che segnano un nuovo record per The Hammer: dieci trofei vinti in carriera, gli stessi di una leggenda come Panatta. Poi, a Bologna, è il leader di un gruppo di giovanissimi nelle qualificazioni che avrebbero portato l’Italia a difendere il titolo mondiale in Spagna. Tanti dubbi, ancora, sulla sua condizione fisica prima della settimana di Davis Cup: il tennista romano salta un paio di tornei dopo gli US Open, poi rientra a Parigi-Bercy, dove esce di scena al primo turno contro l’australiano Popyrin. Berrettini, però, sta bene, si guadagna la chiamata di Volandri e lo urla al mondo con una vittoria, netta, su Van De Zandschulp, la terza in quattro giorni di trasferta a Malaga. La sesta con la maglia azzurra nel 2024. “Sofferta, voluta, desiderata. La Coppa Davis è stato uno dei motori per ripartire quest’anno. Dedico il successo alla mia famiglia, ma anche a me stesso. Perché ho avuto il coraggio di non mollare. Ci ho creduto sempre”, commenta Berrettini al termine della cerimonia. E la gioia è irrefrenabile quando Sinner infila Griekspoor con la prima vincente che consegna agli azzurri la seconda Insalatiera consecutiva. Quando si precipita in campo per abbracciare tutti i compagni di squadra, Berrettini non riesce a trattenere l’emozione e si lascia andare ad un pianto di gioia. Ora non è più soltanto un sogno, è tutto vero: l’Italia è (di nuovo) campione del mondo nel tennis. Anche Berrettini lo è, questa volta.

L'articolo Matteo Berrettini, dalla depressione alla vittoria in Davis: il ritratto di un campione che ha avuto “il coraggio di non mollare” proviene da Il Fatto Quotidiano.

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