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Premio Amidei per il cinema a Elisabetta Sgarbi

Elisabetta Sgarbi è la donna che vive (almeno) due vite, parafrasando Hitchcock: quella editoriale con La Nave di Teseo e con la sua mitologica La Milanesiana — dopo venticinque anni di direzione Bompiani — e quell’altra cinematografica con una densa raccolta di opere, dai docu ai lungometraggi e ai corti.

E sarà proprio domani, sabato 30 novembre, che la lady ferrarese sarà ospite del Kinemax di Gorizia per ricevere, alle 20, il “Premio Amidei alla cultura cinematografica”. Accanto a lei, sul palco, ci sarà la senatrice e scrittrice Tatjana Rojc.

Sullo schermo vedremo tre film firmati e diretti dalla Sgarbi: “I nomi del signor Sulčič”, alle 17.30, mentre alla conclusione della cerimonia scorreranno altre due pellicole: “L’altrove più vicino: Un viaggio in Slovenia” e “Il viaggio della signorina Vila”.

Il profondo Nord-Est è materia di narrazione dei film che presenterà a Gorizia. C’è un legame particolare con questa terra che racconta con passione?

«Ho iniziato a lavorare nell’editoria nello Studio Tesi di Pierpaolo Benedetto a Pordenone. Dal 2011 si è intensificato il mio rapporto editoriale e cinematografico con Trieste e, quindi, con la Slovenia. È stata un’immersione profonda, verticale, sollecitata dai miei lavori cinematografici e travasata nell’editoria. Ho conosciuto persone che sono rimaste punti fermi della mia carriera, a cominciare da scrittori quali Claudio Magris, Rebula, Boris Pahor, Paolo Rumiz, Tatjana Rojc e molti altri che sarebbe lungo citare».

Anche la Slovenia è visitata con altrettanto slancio cinematografico. Nel 2025 un piccolo lembo del Paese, assieme a Gorizia, rappresenterà la capitale della cultura europea. Attraverso il suo viaggio ci può spiegare perché ha scelto proprio questo luogo e il significato delle tre opere in programma al Kinemax?

«La Slovenia è stata una scoperta “triestina” avendo conosciuto la comunità slovena di Trieste, a partire da Scipio Slataper e “Il mio Carso”. In una nota lettera scriveva: “Tu sai che io sono slavo, tedesco e italiano”. Ecco, questa fotografia di Scipio Slataper mi ha guidato in tanta parte del mio lavoro, cercando di trovare le intersezioni tra culture. E penso che la scelta di Gorizia / Nova Gorica Capitale della Cultura sia stata una straordinaria intuizione, che valorizza il confine, come ponte tra culture».

Lei riceverà il Premio alla cultura cinematografica 2024 che porta il nome di uno sceneggiatore immortale: Sergio Amidei. Gli insegnamenti del passato quanto le sono stati utili per affrontare il mestiere?

«Io guardo molto cinema, mi sono formata con “Fuori Orario” di Enrico Ghezzi. Il principio di quel programma è sempre stato l’assoluta contemporaneità del cinematografo. I Lumière sono presenti tanto quanto Martone, o Sorrentino, o Malick».

Anche se editoria e cinema sono accomunati dalla ricerca di storie daraccontare, cosa l’ha convinta a stare dietro una macchina da presa?

«I miei inizi sono stati sperimentali: giravo cortometraggi con una telecamerina. Il primo lavoro, del ‘99, fu un corto sull’artista giapponese Mariko Mori. Per un periodo facevo tutto da sola: riprese e montaggio. Sono molto affezionata a quei lavori, anche perché nascevano in un periodo in cui avevo un problema all’occhio. Attraverso la macchina da presa mi sembrava di “vedere” meglio, diversamente».

A proposito di opere recenti, le è piaciuto l’omaggio di Pupi Avati alla sua famiglia con “Lei mi parla ancora”?

«Non lo definirei un omaggio. Avati ha srotolato una storia a partire dai libri di mio padre. Mi è piaciuto molto perché è una creazione di Pupi, un grande cineasta e un grande narratore».

Il nome di Scerbanenco, qui in Friuli, è un’icona del noir. In anteprima a Roma è stato presentato il “suo” “L’isola degli idealisti” tratto, appunto, da un romanzo del giallista di Kiev, ma con Lignano nel cuore.

«Lo vedremo a marzo nei cinema, distribuito da Fandango. È stato il primo di ventisei romanzi di Scerbanenco pubblicati da La nave di Teseo. Il primo e sino ad allora inedito. Mi entusiasmò talmente tanto che decisi di scrivere una sceneggiatura assieme a Eugenio Lio e proporla a Angelo Barbagallo, un bravissimo produttore. Un editore che pubblica e riscopre un libro e gli dà una nuova vita in un film, be’, è un caso unico».

Qual è la sua idea di cinema? Ciò che risalta è il rigore delle inquadrature e l’armonia delle immagini con la musica.

«Quando giro un film mi sembra di guardare il mondo e di vederlo come io vorrei vederlo».

Nel 2025 saranno dieci anni dalla fondazione de La nave di Teseo. È presto per una raccolta di sensazioni?

«Ci misuriamo sui decenni, sulla tenuta in un tempo lungo. Abbiamo prodotto tantissime cose e bruciato le tappe, ma c’è ancora molto da fare».

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