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Antiriciclaggio al palo: il Registro italiano dei titolari effettivi finisce su un binario morto. La Corte Ue non si esprimerà prima del 2026

Resta su un binario morto il registro dei titolari effettivi, strumento previsto dalla V direttiva Ue antiriciclaggio del 2018 e ancora inattuato in Italia. A un anno dai primi ricorsi al Tar contro l’obbligo per società, fondazioni, associazioni e trust di inviare alle Camere di Commercio le informazioni necessarie per alimentare la nuova sezione del Registro delle Imprese, i tempi sono destinati ad allungarsi alle calende greche. Prestanome, fiduciari ed evasori che riciclano offshore possono continuare a dormire sonni tranquilli.

Ieri, come riporta Il Sole 24 Ore, la Corte di giustizia europea – a cui il Consiglio di Stato in ottobre aveva rimesso la questione pregiudiziale – ha deciso per il rigetto dell’istanza di trattazione accelerata nelle cause pregiudiziali riunite, nate dai ricorsi di Assoservizi Fiduciari e altre società fiduciarie. Per arrivare a sentenza bisognerà attendere almeno il 2026 se non il 2027. E nel frattempo entrerà in vigore la nuova direttiva, con regole diverse.

Pochi giorni fa Transparency International aveva rilevato come 17 dei 23 membri del G20 più Paesi Bassi, Spagna e Svizzera abbiano già istituito o iniziato a istituire dei Registri e 15 siano già attivi o si preparino a esserlo entro la fine dell’anno. Tuttavia alcuni soggetti sono esonerati dall’obbligo di registrazione e l’accesso ai registri non è garantito anche ai media e alla società civile, oltre alle autorità legali responsabili delle indagini sul riciclaggio di denaro. La segretezza dei titolari effettivi, nota la ong, “consente di nascondersi dietro aziende anonime e oscurare chi ne trae effettivamente beneficio, consentendo loro di incanalare denaro attraverso diverse strutture fino a quando diventa estremamente difficile risalire alle sue origini. Ciò rende quasi impossibile per le forze dell’ordine rintracciare i comportamenti illeciti, recuperare risorse e assicurare alla giustizia i corrotti”.

Nel novembre 2022 proprio la Corte di giustizia europea ha bocciato l’accesso delle informazioni al pubblico valutando che “interferisce con i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali”. Roma ha allora disapplicato l’articolo del decreto del Mef che prevedeva l’accessibilità al pubblico, disponendo che i dati siano in ogni caso resi disponibili solo ai “titolari di un interesse giuridico rilevante e differenziato“. Anche se la Corte nel suo pronunciamento aveva fatto salvi i giornalisti e le organizzazioni della società civile.

Stando ai ricorsi al Consiglio di Stato non basta. L’organo della giustizia amministrativa ha interpellato la Corte proprio su questo punto, evocando un potenziale conflitto con la Carta dei diritti fondamentali nella mancata “precisazione della nozione di legittimo interesse, rimettendone la definizione alla piena discrezionalità degli Stati membri determinando il rischio di perimetrazioni eccessivamente estese dell’ambito soggettivo di azionabilità dell’accesso, potenzialmente lesive degli evocati diritti fondamentali della persona”.

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