Ennennum, originale fantascienza indiana sull’immortalità al festival River to River di Firenze
Per sempre insieme, fino all’eternità. Ma anche no. C’è qualcosa di sotterraneamente sinistro e intimamente intrusivo in Ennennum, il film indiano diretto della regista Shalini Ushadevi, fantascienza apparentemente parca, levigata, priva di azione e di sovraesposizione tecnologica, che in queste ore va in prima italiana al 24esimo River to River Indian Film Festival di Firenze (5-10 dicembre 2024).
Devi (Santhy Balachandran) e Ouso (Anoop Mohandas) sono una coppia ricca e agiata che vive in una villa alla Frank Lloyd Wright tutta pietra, legno e vetrate immersa nella natura tra rami e tronchi d’albero. Il fratello di Ouso, un’eminente politico appena morto, aleggia nel ricordo dei due amorevoli corpi dei protagonisti intrecciati a letto. L’emissario del “Partito” richiede la candidatura di Ouso mentre un programma riprodurrà a breve voce e corpo del morto. Sempre dall’azienda iperfuturista WBT viene venduto a Devi e Ouso il Punya 2, un software per l’immortalità. Basta un plug-in nel collo e un po’ di soldini. Tre giorni di prova e passa la paura. Ma quei tre giorni si riveleranno i più drammatici della vita di Devi e Ouso.
Giocato su uno script snello, dai dialoghi rapidi ma incessanti tra i due vettori della coppia, Ennennum è un film dove si esplora la connessione tra cinismo della manipolazione e spontaneità dei sentimenti. “Se la nostra storia non finirà mai come facciamo a sapere se certi momenti della nostra vita sono stati sbagliati?”, si chiede Devi che ha capito che qualcosa non quadra nell’impellenza con cui Ouso ha voluto usufruire in coppia di Punya 2.
Qualche estemporaneo esterno giorno nella campagna/bosco non ottunde la scelta efficace di messa in scena e di senso generale dell’opera, per un’unità spaziale del racconto tra le stanze avveniristico naturali del villone dei protagonisti. Un luogo che assume simbolicamente il valore delle tante facce di un unico prisma vitale continuamente trasformabile. Ennennum diventa così un esempio pulito e curioso di cinema di genere dove macchinari e scenari fantascientifici sono dati come indiscussa normalità (il pc trasparente, la mancanza di un’effettistica digitale troppo esibita) mentre la tensione di umori e sensibilità dei singoli rimane cruccio inestricabile.
La 24esima edizione di River to River offre come sempre una ricchissima panoramica sul cinema indiano, in tutte le sue declinazioni bollywoodiane e autoriali, scandagliandone anche la ricca e come sempre da noi semi-sconosciuta e pullulante storia. Tra le decine di titoli in programma segnaliamo Awara (1951) uno delle interpretazioni di punta della star Raj Kapoor di cui ricorre il centenario della nascita, successo in mezzo pianeta tra cui paesi arabi, Turchia e l’allora Unione Sovietica ancora staliniana. In Awara tra miseria, delinquenza e numeri musicali, Kapoor indossa bombetta, completo liso e scarpe bucate trasformandosi in un vagabondo simil chapliniano cantando un motivetto che diventerà popolare per milioni di spettatori. “Maschera burlona e un po’ tragica, una specie di Charlot indiano, stessa mimica elettrica, stessa carica antiborghese, stesso spirito libero e anarcoide”, scrive Maria Sole Colombo su Film Tv. Ricordando l’importanza di una figura celebre e popolare, in Occidente nemmeno vista in cartolina solo perché abitanti dell’altra parte del globo, quella hollywoodiana.
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