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Influencer di aria fritta

Ponte di Rialto, Venezia. Una moltitudine di influencer - o aspiranti tali - bloccano la viabilità del primo pomeriggio per qualcosa di fondamentale: il selfie perfetto. Stanno, questi creativi vestiti in modo appariscente, incollati agli schermi dei loro cellulari, da cui distolgono lo sguardo solo per controllare di non cadere in acqua. Il mondo per loro è solo uno: quello che va in circolo continuo, h24, sui device che stringono fra le dita. «Si gloriano per i loro follower, ma spesso il loro destino è incerto» esordisce Walter Quattrociocchi, ordinario dell’università Sapienza di Roma, dove dirige il Centro di Data Science e Complessità per la società (Cdcs). «Ormai gli argomenti online hanno alta volatilità, gli utenti si stufano facilmente e la competitività per guadagnare è sempre più alta». Prima di addentrarci in questo scenario di estremi - dove pochi guadagnano cifre mirabolanti, e la maggior parte si arrabatta con poche centinaia di euro al mese - è bene iniziare dalle basi. «Gli influencer» spiega ancora Quattrociocchi «sono personaggi che godono di una certa visibilità e che la utilizzano per promuovere prodotti, servizi o idee, collaborando frequentemente con marchi per campagne di marketing. I content creator sono invece quelli che creano contenuti originali, come testi, video, immagini o podcast con l’obiettivo di informare, educare o intrattenere un pubblico specifico». Il potere di entrambi è prodotto da una cosa soltanto: il tempo che dedichiamo loro sui nostri smartphone.

Secondo il recente rapporto Digital 2024 di We Are Social, in Italia trascorriamo in media quasi sei ore al giorno online. Il social più gettonato è TikTok, piattaforma cinese che parla ai giovanissimi con video brevi: nel 2024 il tempo di utilizzo medio mensile è stato di 32 ore e 12 minuti (a seguire con circa 18 ore YouTube, Facebook e Instagram). Naturalmente, ogni social ha il suo protagonista indiscusso, in grado di guadagnare cifre fino a sei zeri l’anno (e di illudere migliaia di aspiranti star). Il re dei content creator italiani è Khaby Lame, noto per creare video che ironizzano su chi si complica la vita nell’affrontare questioni pratiche ma semplici. Con oltre 160 milioni di follower su TikTok, è il più seguito al mondo dell’intera piattaforma. Su Instagram - circa 29 milioni di follower - c’è invece Chiara Ferragni, che guadagna fino a 30 mila euro a sponsorizzazione e che si propone come icona di moda, spesso condividendo contenuti sulla sua vita personale. Per YouTube il riferimento è invece Favij (Lorenzo Ostuni), youtuber specializzato in gameplay e vlog con oltre 6,5 milioni di iscritti, e su Twitch spopola con quasi 2 milioni di follower Gianmarco Tocco (Tumblurr).

Come è facile intuire, gli stipendi dei «vip del settore» fanno da specchietti per le allodole e invogliano a lanciarsi, pur non avendo la minima competenza. «La richiesta di contenuti è fortissima, ma emergere è tutt’altro che facile» ragiona Riccardo Pirrone, social media expert. «A determinare il successo entrano in campo diversi fattori, come il numero di follower, l’engagement del pubblico, le collaborazioni con i brand e le piattaforme utilizzate. Bisogna poi avere un’idea ed essere costanti nella pubblicazione. Ma soprattutto è necessario distinguersi. Solo così si può arrivare a guadagnare bene, circa duemila euro per un reel e un set di storie. Che alla fine dell’anno fanno uno stipendio da circa 70 mila euro». Non esiste un listino prezzi uguale per tutti, ma secondo indiscrezioni i post per i social più gettonati - e per utenti con almeno 100 mila follower - vanno da 500 a cinquemila euro. Sul punto però il dibattito è aperto. «Mai visto neanche un centesimo!» esclama L.P., giovane influencer che racconta di libri e di poesie su Instagram. «Io ho 150 mila follower e non ho mai intascato un euro. Al massimo le case editrici mi mandano i libri, io li leggo e ne parlo». Diverso il discorso per chi ha optato per OnlyFans, dove i contenuti sono caratterizzati da panni succinti e (rari) discorsi dalle atmosfere piccanti. Anche qui c’è chi, come Linda T., di follower ne ha 200 e in tasca si mette appena 300 euro al mese: «Mi sono aperta il canale perché leggevo di persone che avevano cambiato esistenza. Ma io così non vivo. Il problema è che ormai nel mio paese sanno tutti cosa faccio, e così non mi chiamano più neanche per fare le pulizie». E allora? «Il rischio è che i social diventino una fabbrica dei disoccupati» nota ancora Quattrociocchi. «Secondo recenti studi, l’interesse per un argomento dura in media dieci mesi. Dopo di questo, gli utenti si stancano e dunque condannano il content creator a una rincorsa degli utenti a scapito del valore». Insomma: se il professore di biologia è in grado di raccontare la sua materia, appena inizia a perdere follower si mette a disquisire di partite di calcio o di cucina, e non sarà altrettanto attendibile. In questo modo un mercato già saturo, si saturerà ancora di più. A discapito, naturalmente, della qualità.

«Bisogna poi ricordare che non ci sono prove empiriche del fatto che tanti follower corrispondano a tanti acquisti da parte di chi li segue, e non è affatto scontato che gli investimenti pubblicitari in questo mondo siano realmente in grado di generare consumi», sottolinea ancora Quattrociocchi. Insomma, parlare a tante persone non significa essere ascoltati: forse la gente vuole soltanto essere intrattenuta. E non di rado le aziende svalutano il proprio messaggio affidandolo a persone inadeguate. C’è poi la questione dei seguaci: per quanto numerose piattaforme abbiano implementato politiche e algoritmi sul punto, proliferano i «ghost follower» (quelli finti) acquistati con pacchetti dal prezzo irrisorio: 100 mila costano poco più di 600 euro. Per capire se un profilo è realmente seguito diventa fondamentale analizzare il numero di interazioni e scandagliare i seguaci, focalizzandosi sull’incremento dei follower, che deve essere graduale e non repentino.

Ma attenzione: secondo il Benchmark Report 2024 di Influencer MarketingHub il 36,8 per cento degli influencer mondiali è risultato avere follower falsi. Insomma, due influencer/content creator su cinque barano. «Per noi» taglia corto un insider che pretende l’anonimato «l’importante è guadagnare». E nella massa lo fanno. Si stima che nel 2022 i content creator a livello mondiale fossero 303 milioni per un giro d’affari che solo nel nostro Paese supera i 300 milioni euro. Così, considerato il business, anche la normativa si aggiorna: dal primo gennaio 2025, in Italia entra in vigore un nuovo Codice Ateco (73.11.03) specifico per le professioni legate alla «Creator Economy». Così saranno riconosciute formalmente le attività di content creator e influencer, chiamati ovviamente a iscriversi alla Gestione separata Inps e versare i relativi contributi previdenziali, indipendentemente dal volume d’affari generato. «Sarà molto interessante» riflette l’insider «capire come si farà con i beni ricevuti in omaggio, o con i servizi goduti in modo gratuito». I prodotti omaggiati per fini pubblicitari infatti saranno a tutti gli effetti considerati reddito imponibile e dovranno essere dichiarati al fisco. Esattamente come i viaggi. «Nell’ambiente si vocifera che ci sarà un’evasione di massa. Voi ve la immaginate l’influencer di turno che dichiara le decine di borse che riceve come regalo per dimezzare il suo compenso? E la regina di OnlyFans che inserisce in dichiarazione dei redditi il viaggio tutto pagato in Sardegna per sponsorizzare un nuovo locale? Soprattutto: come si potrà controllare che tutto venga fatto in rispetto della legge?». Interrogativi leciti che (al momento) non trovano risposta.

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