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Finisce l’era di Ernesto Maria Ruffini alle Entrate. Confermato da quattro governi, ha voluto il fisco 2.0. Ma diceva: “Non può essere amico”

Lascia dopo un regno durato più di sette anni, al netto di una parentesi di 15 mesi tra 2018 e 2019. Ernesto Maria Ruffini dà l’addio all’Agenzia delle Entrate che ha guidato da luglio 2017 quando il governo Gentiloni ha sostituito Rossella Orlandi con l’allora ad e presidente di Equitalia chiamandolo a guidare anche la neonata Agenzia delle Entrate-Riscossione. Palermitano, classe 1969, tributarista (ha lavorato nello studio dell’ex ministro Augusto Fantozzi), ha incassato conferme nel ruolo dai governi Conte 2, Draghi e Meloni. Ufficializza le dimissioni il giorno dopo la chiusura della seconda finestra per aderire al concordato preventivo biennale, misura voluta dal viceministro Maurizio Leo che l’Agenzia è stata chiamata a gestire e tentare di salvare da un flop annunciato con metodi che hanno attirato non poche critiche. Alla premier e al suo vice Matteo Salvini contesta – senza citarli – di aver “additato pubblici funzionari come estorsori di un pizzo di Stato e dichiarato che il fisco “tiene in ostaggio le famiglie, come fosse un sequestratore”.

Alla prima Leopolda propose il Fisco 2.0 – Nel 2010, partecipando alla prima Leopolda organizzata da Matteo Renzi con Pippo Civati, aveva lanciato la proposta di una riforma fiscale incentrata sulla digitalizzazione dei servizi. I pilastri del suo Fisco 2.0 avrebbero dovuto essere dichiarazione precompilata, fatturazione elettronica e trasmissione elettronica degli scontrini fiscali. Strumenti che in quel momento – i tempi dell’odiata Equitalia di Attilio Befera – sembravano lunari ma che negli anni successivi sono diventati realtà, non senza enormi resistenze, su input dei governi Renzi e Conte 1. La “rivoluzione digitale” ha iniziato a tradurla in pratica da quando a metà 2015 ha preso il posto di Benedetto Mineo alla guida della società della riscossione: l’anno dopo Equitalia ha lanciato la prima app per pagare le cartelle e rateizzare i debiti e alle raccomandate ha iniziato a sostituire le pec. Nel tentativo di migliorare l’immagine dell’esattore pubblico è stata anche lanciata “Cartella amica”, modulo precompilato che consentiva di chiedere subito il pagamento rateale.

Dopo Equitalia la chiamata alle Entrate – Nel frattempo Renzi da Palazzo Chigi avviava in nome del fisco amico la promessa abolizione di Equitalia (insieme alla prima, iniqua rottamazione che avrebbe portato nelle casse dello Stato solo 9 miliardi contro i 19,6 attesi e i 34,5 di debiti coinvolti) e la nascita, dall’1 luglio 2017, dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, nuovo ente pubblico economico presieduto dal direttore delle Entrate. A guidare la nuova macchina il governo di Paolo Gentiloni chiama proprio Ruffini, forte anche di una riscossione salita nel biennio 2015-2016 a quasi 17 miliardi, in sensibile aumento rispetto all’anno prima. Trova un’Agenzia decapitata dalla sentenza della Corte costituzionale sulle nomine di centinaia di dirigenti. Continua a spingere sulla digitalizzazione, che ritiene fondamentale per ridurre un’evasione fiscale e contributiva stimata in quel momento in oltre 100 miliardi di euro l’anno. Il portale dell’Agenzia viene rinnovato e arricchito di servizi online per accompagnare i provvedimenti governativi, a partire dalla seconda rottamazione (anche quella un flop, con 3 miliardi raccolti sui 9,3 previsti a fronte di debiti lordi per 15,5 miliardi). Ma viene ridisegnato anche l’organigramma dell’amministrazione: Ruffini crea le due divisioni Servizi e Contribuenti, che esistono ancora oggi. A capo della prima arriva Paolo Savini, dal 2001 dirigente esterno dopo un decennio in Sogei, che in quanto direttore vicario prenderà ora le redini dell’Agenzia fino alla nomina del successore. Alla divisione contribuenti viene richiamato da un incarico all’Ocse Paolo Valerio Barbantini, che manterrà l’incarico fino al febbraio di quest’anno.

L’aumento dei proventi da lettere di compliance – Ruffini appoggia esplicitamente la strategia del fisco “morbido” e della riduzione della conflittualità con i contribuenti, basata su valorizzazione del confronto preventivo ed emersione spontanea di basi imponibili. La dichiarazione precompilata raggiunge 20 milioni di contribuenti. Nel 2017 l’AdE rivendica un nuovo record di “recupero complessivo dell’evasione”: 20,1 miliardi, più dei 19 nell’anno prima che erano stati gonfiati dai proventi (4,1 miliardi) del rientro dei capitali voluto da Renzi. Salgono sia i versamenti diretti (somme versate a seguito di atti emessi dall’Agenzia) sia quelli da ruolo e si gonfiano del 160% a 1,3 miliardi i proventi da attività di promozione della compliance, le lettere che avvisano di possibili errori e “invitano” a verificare la propria posizione ed eventualmente sanarla. “Dobbiamo fare pace con gran parte dei cittadini che percepiscono il sistema come troppo oppressivo”, dice Ruffini commentando i risultati.

Il Covid e la gestione degli aiuti – L’anno dopo a Palazzo Chigi arriva il governo gialloverde di Giuseppe Conte che in agosto chiama alle Entrate il generale della Gdf Antonino Maggiore. Il 2018 si chiude con risultati complessivi meno brillanti, 19,2 miliardi, perché calano i proventi da rottamazioni (nel frattempo ne viene varata un’altra che riscuoterà 8,7 miliardi contro i 29,4 previsti e insieme alla fatturazione elettronica obbligatoria arriva un condono sulle mini cartelle). Ma i versamenti diretti salgono ancora. Il trend procede nel 2019, quando in compenso i controlli sostanziali calano a 524mila, un crollo rispetto al picco toccato nel 2016 (oltre 770mila). A gennaio 2020 il Conte 2, su proposta del ministro Roberto Gualtieri, torna a puntare su Ruffini. Che subito dopo si trova a gestire un quadro inedito: all’Agenzia viene chiesto di occuparsi oltre che di entrate anche di uscite, distribuendo 20 miliardi di contributi a fondo perduto a favore di professionisti e imprese danneggiati dalla pandemia. Il Covid affossa il pil e dunque anche gli incassi del fisco. Il recupero dell’evasione segue a ruota e cala a 12,7 miliardi, complice la sospensione di gran parte delle attività di controllo, verifica, riscossione e contenzioso.

Su il recupero, giù i controlli – Nel 2021 il Pnrr fissa un ambizioso obiettivo di riduzione del tax gap da raggiungere entro il 2026 anche grazie a un forte aumento delle lettere di compliance e a un impulso all’incrocio delle banche dati a disposizione del fisco. In quell’anno i risultati ufficiali diffusi dalle Entrate (13,8 miliardi di recupero) risentono ancora della pandemia, ma le stime ufficiali contenute nella Relazione della commissione ministeriale incaricata di stimare il nero dicono che il progressivo calo dell’evasione continua, soprattutto per effetto di un importante recupero del gap Iva che si deve a fatturazione elettronica e meccanismi contabili come lo split payment. Nel 2022 il recupero risale a 20,2 miliardi di cui 4,9 da cartelle. Il numero dei controlli però resta dimezzato (373mila) rispetto al pre Covid.

L’Agenzia sotto organico e l’analisi del rischio – Del resto se nel 2012 la dotazione organica complessiva delle Entrate era di circa 41mila unità, il totale dei dipendenti si è poi progressivamente ridotto anche a causa del blocco del turnover fino a scendere a fine 2022 a meno di 28mila unità. Con i nuovi ingressi autorizzati quell’anno da Draghi si prevede il ritorno a quota 37mila, comunque troppo pochi come Ruffini ha sottolineato anche di recente. Nel frattempo, complice una norma ad hoc che inserisce la lotta all’evasione tra le attività di interesse pubblico e dopo lunghe e faticose trattative con il Garante Privacy, arriva l’ok all’utilizzo massivo delle informazioni contenute nell’Archivio dei rapporti finanziari. Un passo che consente di sfruttare quei dati nell’analisi del rischio per il contrasto al nero. Ma al momento non è dato sapere quanto l’Agenzia stia davvero utilizzando quella possibilità a cui il governo Meloni, al netto dei proclami contro il “Grande fratello fiscale”, ha dato un sostanziale via libera politico.

La nuova stagione dei condoni e le frizioni con la maggioranza – L’arrivo di Meloni a Palazzo Chigi segna anche l’avvio di una nuova stagione di condoni in grande stile: una dozzina quelli previsti nella prima legge di Bilancio firmata dalla leader di Fratelli d’Italia. L’Agenzia di Ruffini, che il nuovo esecutivo decide di confermare nonostante le sue dichiarazioni bellicose contro gli evasori, esegue: stralcia le cartelle, rottama, gestisce le definizioni agevolate che l’hanno trasformata secondo la Corte dei Conti in una finanziaria che fa credito a debitori ad alto rischio. Le frizioni e il disagio emergono l’anno scorso. In estate, presentando alla Versiliana l’ultimo libro Uguali per Costituzione. Storia di un’utopia incompiuta dal 1948 a oggi – con prefazione di Sergio Mattarella – il direttore boccia il “fisco amico” di cui Leo si riempie la bocca: “Gli amici ce li scegliamo, non me li può dare la legge, gli amici stanno altrove. Il fisco non può essere amico. Ma invece può essere un corretto equo interlocutore“. L’ipotesi di una ulteriore sanatoria, stavolta su contanti e valori nelle cassette di sicurezza, viene stoppata, ma la Lega continua a invocare nuove paci fiscali e Matteo Salvini descrive i contribuenti come “ostaggi”. Ruffini reagisce, ribadisce che il contrasto all’evasione “non è volontà di perseguitare qualcuno” ma “un fatto di giustizia nei confronti di tutti coloro che – e sono la stragrande maggioranza – le tasse, anno dopo anno, le pagano, e le hanno pagate, sempre fino all’ultimo centesimo, anche a costo di sacrifici e nonostante l’innegabile elevata pressione fiscale”. L’ultima goccia sono le lettere che l’Agenzia deve inviare ai contribuenti per stimolare l’adesione al concordato, la cui “messa a terra” con continue modifiche in corsa ha messo sul piede di guerra i commercialisti. Comunicazioni di compliance che, forse anche per la fretta, in parte sbagliano bersaglio e vengono contestate dalla Lega ma anche dagli addetti ai lavori. Subito dopo riemergono le indiscrezioni su presunte aspirazioni politiche del numero uno. La Verità titola: “La sinistra ha un nuovo leader, il tartassatore dei contribuenti”. Esponenti di maggioranza chiedono che, se nutre quelle ambizioni, lasci l’incarico che sarebbe scaduto alla fine del 2025. Venerdì, via intervista al Corriere, arriva l’ufficializzazione di una decisione presa da tempo.

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