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US Open donne: a New York con i postumi di Parigi

Comincio questo articolo dedicato alla situazione in WTA alla vigilia dello US Open con un po’ di imbarazzo. Come mai? Perché devo in parte smentire quanto avevo sostenuto un paio di mesi fa, subito prima dell’inizio di Wimbledon.

Allora infatti avevo scritto che i Championships erano lo Slam più difficile da inquadrare della stagione, perché su erba si faticava a definire gerarchie tecniche consolidate; gerarchie che invece si potevano individuare nei Major su terra battuta e cemento. Il sottinteso, quindi, era che prima di Flushing Meadows avremmo avuto tutti le idee più chiare. Però oggi, a pochi giorni dall’inizio dello US Open, mi rendo conto che le cose non stanno proprio così. Colpa mia, perché in quel momento non avevo valutato sino in fondo quanto la presenza delle Olimpiadi avrebbe inciso sulla programmazione delle giocatrici.

Alla vigilia del torneo olimpico è apparso chiaro che il “Roland Garros bis” avrebbe condizionato seriamente la programmazione delle sue partecipanti. Impossibile pensare di affrontarlo come un semplice tassello anomalo, inserito nella normale sequenza di tornei. Anche per chi a Parigi ha perso nei primi turni, sicuramente c’è stata la fase di avvicinamento alla terra battuta che ha richiesto un cambio di gestione rispetto alla normale sequenza erba – cemento americano.

Poi va considerato il post Olimpiadi. Per molte tenniste ha significato la rinuncia a una parte dei tornei di preparazione nordamericani, e di conseguenza non abbiamo avuto la usuale quantità di risultati che contribuiscono a chiarire la situazione del circuito, e a individuare le giocatrici più in forma.

Malgrado tutto, però, non si può dire che ci troviamo in una situazione fotocopia con quella di un paio di mesi fa. Innanzitutto perché una sostanziale differenza tra il pre-Wimbledon e il pre-US Open c’è: l’incertezza inglese era determinata da fattori interni al circuito (la mancanza di sicure specialiste su erba), mentre l’incertezza statunitense è determinata da fattori esterni, estranei al circuito WTA (la data del torneo olimpico con in più la scelta di farlo disputare su terra battuta). E poi resta il fatto che alcune tenniste hanno evitato le Olimpiadi, seguendo il consueto percorso di avvicinamento a New York.

D’altra parte molte delle giocatrici più attese a Flushing Meadows si presenteranno al via con la più breve preparazione al cemento di tutte le ultime stagioni in WTA. Probabilmente nemmeno i loro team hanno la certezza di avere gestito al meglio questa transizione. Perché si è trattato non solo di affrontare il cambio di superficie, ma anche di trovare il giusto equilibrio tra la necessità di alleggerimento per recuperare dalle fatiche europee e l’esigenza opposta di tornare ad allenarsi a pieno ritmo in vista del quarto Slam stagionale. Il tutto senza trascurare che andavano anche ricaricate le pile sul piano psicologico e agonistico.

Pensiamo per esempio alla pressione vissuta da Jasmine Paolini negli ultimi mesi: finale al Roland Garros, finale a Wimbledon (entrambe perse), eliminazione a sorpresa in singolare alle Olimpiadi (contro Schmiedlova) vittoria nel doppio insieme a Sara Errani. Un vero e proprio tour de force non solo fisico ma anche mentale, concentrato in pochissime settimane. Mettiamoci nei panni del suo team, e non è difficile capire quanto può essere complicato trovare il giusto equilibrio tra riposo e allenamento.

Un altro esempio, la numero 1 del ranking Iga Swiatek: quest’anno dopo Wimbledon ha giocato su terra le Olimpiadi (con la medaglia di bronzo conclusiva) e di conseguenza per tornare sul duro ha atteso il WTA 1000 di Cincinnati, appena terminato. Nel 2023 dopo Wimbledon e prima dello US Open aveva affrontato tre tornei su cemento: Varsavia, Montreal e Cincinnati. Quattro partite su cemento nel 2024, tredici nel 2023. Una differenza non da poco.

A proposito di Cincinnati: diverse giocatrici di vertice lo hanno scelto come torneo di rientro sul cemento. Per come la vedo io, non credo siano state agevolate dalle condizioni di gioco di quest’anno. La combinazione tra superficie e palline lo ha reso un torneo rapidissimo. Quindi: ritmo vorticoso e tempi di reazione per forza spinti agli estremi. Per chi stava ancora completando la fase di transizione dalla terra, probabilmente sarebbe stato più semplice affrontare condizioni più lente, che forse avrebbero maggiormente perdonato qualche incertezza nel timing, tipica di chi non è ancora del tutto adattata alla superficie. Se in più aggiungiamo il vento, che in molte giornate ha condizionato le partite, ecco che si delinea un contesto non proprio ottimale per chi lo ha scelto come l’unico torneo di preparazione in vista di Flushing Meadows.

In questo quadro anomalo, l’Open del Canada (il WTA 1000 che si disputa alternativamente tra Montreal e Toronto) è stato l’evento di prima fascia che più di tutti ha patito l’affollamento di calendario, finendo per subire numerosi forfait. Ma in generale le Olimpiadi hanno inciso su tutta la stagione nordamericana. Siamo lontanissimi dalla situazione di una decina di anni fa quando questi tornei erano riuniti nelle cosiddette “US Open Series” e avevano trovato sponsor che pagavano bonus milionari per chi otteneva i migliori risultati nel complesso di tutti gli eventi, e quindi giocatrici e giocatori ci pensavano due volte prima di farne a meno.

Ma sto divagando. Torniamo alle valutazioni della vigilia dell’ultimo Slam 2024. A mio avviso proprio questa situazione del tutto particolare offrirà particolari spunti di riflessione: sarà comunque interessante capire chi, tra le reduci dell’impegno olimpico, ha gestito meglio la preparazione; ma sarà ugualmente interessante scoprire se le giocatrici che non hanno preso parte alle Olimpiadi (alcune per scelta, altre per la mancanza dei requisiti di ammissione), si ritroveranno con qualche vantaggio.

a pagina 2: Le differenti scelte di programmazione delle giocatrici

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