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L’intervista. Padre Benanti: «L’Ai va gestita. I governi possono arginare gli oligarchi digitali»

«Lei è più fiducioso o più preoccupato?». Padre Paolo Benanti è uno dei massimi esperti italiani – e non solo – di Intelligenza artificiale. Teologo, docente universitario, studioso della prima ora di etica delle tecnologie, Benanti è presidente della Commissione nazionale Ai per l’informazione e membro del Comitato Ai delle Nazioni Unite, oltre che consigliere per la materia di Papa Francesco. Da pochi giorni è uscito il suo ultimo libro Il crollo di Babele. Che fare dopo la fine del sogno di internet (San Paolo edizioni), in cui racconta «la fine di un’epoca e l’inizio di qualcosa che non conosciamo». «Non si tratta di essere preoccupati o fiduciosi, ma di essere etici», risponde a quella domanda così carica di inquietudini.

Padre, internet si è trasformato da sogno in incubo?

«Se noi guardiamo i primi venti anni di questo secolo, vediamo due stagioni. Una stagione è quella del primo decennio, che si è concluso con le primavere arabe che ci hanno fatto pensare che la presenza internet, degli smartphone, delle piattaforme potesse dare a tutti la capacità di essere un’unica collettività, di desiderare gli stessi valori. Esattamente dieci anni dopo, con Capitol Hill, si è chiusa la seconda stagione, segnata dalle fake news, dalla post verità, dalla polarizzazioni di fronte opposti. Sembra che la torre che era stata costruita sia crollata, ma questo non vuole dire che sia un incubo. Vuol dire che quella cosa che nel primo decennio pensavamo accadesse da sola non è accaduta».

Presentando il suo libro, lei si domanda: «Cosa attende l’umanità dopo il crollo di Babele?». Qual è la sua risposta?

«Direi che se il primo decennio ci ha fatto sognare e il secondo vedere che alcuni sogni erano irrealistici, ora serve la gestione. In base a come noi ci giocheremo questo decennio diremo cosa vogliamo che resti delle democrazie, che sono computazionali ovvero legate per la loro sussistenza a quello che accade negli spazi digitali. Basta pensare alla pandemia…».

Al ruolo che hanno avuto le tecnologie per andare avanti?

«Sì. La pandemia ci ha bloccato nelle nostre competenze analogiche, siamo riusciti a superarlo grazie alle competenze digitali. La pandemia ha dimostrato che, a partire dal 2012, gli smartphone hanno mangiato pezzi di democrazia analogica, rendendola computazionale. Chi controlla questi spazi controlla parte del potere democratico e potremmo avere l’insorgere di persone che hanno molto potere, di oligarchi digitali».

A questo proposito, lei è fra gli esperti che, tanto a livello nazionale quanto a livello internazionale, collaborano con le istituzioni per dare un indirizzo all’Intelligenza artificiale. Però, si domanda se oltre alla tecnologia non si debba guardare anche, cito testualmente, «alle idee e alle ideologie dei grandi attori della Silicon Valley che hanno costruito la Torre». Quali sono queste ideologie?

«Ognuno fa il suo mestiere, se le mediazioni delle soluzioni sono politiche – e non possono essere altro – io da accademico guardo quello che succede, cerco di individuarne le radici. La domanda allora potrebbe essere: perché il sogno del 2011 è diventato un brutto sogno nel 2021? Cos’è successo?».

Ecco, cos’è successo?

«Che le piattaforme digitali sono diventate affari e gli investitori della Silicon Valley hanno le loro idee, una visione del mondo che ha fatto sì che le piattaforme assomigliassero a chi le controllava. Questo dimostra una cosa molto antica: il digitale non è neutrale, ma dipende dalla visione chi lo utilizza. Quando 60mila anni fa in una caverna il primo essere umano ha agitato un bastone stava usando un utensile o una clava?».

I governi hanno davvero la possibilità di incidere sul futuro dei mezzi digitali, dell’Ai?

«Parliamo del nostro governo. A me sembra che da settembre 2023, nei suoi discorsi anche a livello internazionale, il presidente Meloni abbia adottato una linea molto chiara sul fatto che questi temi sono di gestione politica e non di passività rispetto alle forze di investimento globale. È chiaro che qualcuno pensa che l’Europa abbia meno potere rispetto ai grandi colossi internazionali, ma noi come mercato europeo rappresentiamo una fetta enorme dei loro guadagni e possiamo dire che se vuoi vendere e guadagnare da noi devi sottostare alle nostre regole. Pensiamo al marchio di qualità CE: se vuoi vendere una presa elettrica qui, deve corrispondere a certi standard di qualità. Per l’informazione, l’editoria, il digitale come spazio pubblico si può pensare la stessa cosa. Chi vuole vendere qui deve garantire alcune linee, deve stare nel guard rail, nello spazio definito dall’azione politica».

Di fronte all’Ai è più preoccupato o più fiducioso?

«Non si tratta di essere né apocalittici né integrati, per dirla con Umberto Eco. Si tratta di essere etici, cioè di porsi domande di senso e accompagnare le persone a porsi domande di senso. E il fatto che si tratti di un processo che va gestito è già al centro di un’agenda e di un dibattito pubblico».

Lei sostiene che la «condizione umana è una condizione tecno-umana». Che significa? Abbiamo un francescano transumanista?

«Significa quello che dicevo a proposito della caverna. Prendiamo un elefante. Un elefante ha nella sua condizione biologica tutto quello che gli serve per fare la vita da elefante. Io e lei no, lei per ricordare quello che le sto dicendo deve prendere appunti, ha bisogno della tecnologia. Noi siamo in una condizione di eccedenza rispetto alla nostra mera condizione biologica, significa che la persona è di più della sua mera biologia e la tecnologia è la traccia di questa eccedenza. E questo è il contrario del postumano e del transumano».

Il Papa pochi giorni fa ha annunciato la canonizzazione di Carlo Acutis, morto nel 2006 a 15 anni e fautore nella sua breve vita di un uso costruttivo di internet. L’annuncio può essere letto anche come un messaggio della Santa Sede su queste tematiche?

«Il messaggio viene dalla santità. Noi possiamo leggere un santo come una risposta del Vangelo a un tempo. San Francesco viveva un tempo in cui la città era divisa tra maiores, con diritto di cittadinanza e potere, e minores, che ne erano esclusi. San Francesco si fa frater, fratello dei minori. In un tempo in cui, dopo il crollo dei regimi sovietici, gli albanesi salgono su qualsiasi cosa galleggi per venire verso l’Occidente e il suo benessere, una piccola albanese Madre Teresa, va verso oriente insegnando che amare è dare. Carlo Acutis è un messaggio a ciascuno di noi su cosa vuol dire seguire il Vangelo nel digitale».

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