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“PICCOLezze” unisce storie e protagonisti: il mosaico che svela un giornale e la città

Chissà se a Maurizio Cattaruzza piacerebbe una redazione del Piccolo al Caffè San Marco. Probabilmente no, fin troppo sontuoso, benché la stima da lui nutrita per «il mondo antico di via Silvio Pellico», popolato dai «giornalisti con il papillon che davano solo del lei», lasci quasi intendere il contrario.

Eppure mercoledì pomeriggio l’impressione era proprio quella: ex correttori di bozze e poligrafici, cronisti, redattori e soprattutto tanti lettori diventati amici e affetti di una vita. Mancavano solo le macchine da scrivere (o i famigerati computer), qualche sigaretta (tante sigarette) e la scritta “Il Piccolo” per rendere la scena perfettamente credibile.

Persone e aneddoti

Ma non importa, perché di persone e di aneddoti, non certo di formalità, è fatto il libro di Cattaruzza appena pubblicato, “PICCOLezze” (edito da Mgs Press) presentato ieri pomeriggio nello storico locale di via Cesare Battisti. “Presentato” non è il verbo giusto: perché tanta pomposità mal si attaglia allo spirito dell’evento e di Cattaruzza stesso, che nella sua carriera ha fatto il correttore di bozze, il collaboratore, il redattore e infine il caporedattore, tutto nella testata che fu di Teodoro Mayer. «È un’occasione di festa», ribadisce lui, impugnando il microfono con una ventina di minuti di ritardo a causa delle tante copie firmate.

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Una festa

Una festa sì, ma non solo. A dispetto del clima rilassato e farcito di non poche ironie, gli spunti per ragionare sul giornalismo emergono di continuo. «Ho voluto raccontare le nevrosi che si nascondono dietro le quinte, “tutti i nostri sbagli”, per parafrasare i Subsonica. E i miei errori, ovviamente. Un mosaico volutamente incompleto, che però ricostruisse lo spirito del giornalismo di una volta». E in fondo la prima «festa» era proprio il giornale, «l’animazione era continua, ogni occasione era buona per una festa», dice ancora Cattaruzza.

Un fiume in piena

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Accanto a lui siede Fabrizio Brancoli, vicedirettore di Nord Est Multimedia con delega al Piccolo. Manca Carlo Giovanella, anche lui ex giornalista e ora editore, che ha dato forfait per malattia. Cattaruzza è un fiume in piena, ripercorre anni di storia spalmati su tre redazioni, la già citata via Silvio Pellico, poi via di Campo Marzio fino all’approdo all’attuale via Mazzini. Brancoli ne accompagna il flusso indomabile, guidandolo verso il terreno sicuro delle domande secche. Com’è nato il libro? «Rischiavo di finire in un brutto giro di nonni paletta, o ai tornei di tressette con mezzo litro di vino a partita. Questa opzione non era neanche male», risponde Cattaruzza. Poi si fa più serio: «Volevo fare il verso al libro di Scalfari, una sorta di “Alla sera andavamo in via Pellico”. Tutto quello che racconto è accaduto, anzi qualcosa ho sottratto».

Pubblico stupito

Non toglieremo piacere ai lettori raccontando in anteprima gli aneddoti del libro di Cattaruzza. Piuttosto noteremo le espressioni divertite (e un po’ stupite) del pubblico, che pur in larga parte “del mestiere” stenta a credere alle mirabilia contenute in “PICCOLezze”. «Non c’è mai stato un giorno uguale all’altro – tira le somme Cattaruzza –. Esci sempre dalla routine, sono le regole del gioco, anche se a un certo punto accumuli stanchezza e stress».

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Regole del gioco che possono dare alla testa. «C’è un discorso da fare sulla vanità. Noi giornalisti ci prendiamo troppo sul serio, vedo troppa auto-celebrazione, premi per tutti, tu dai un premio a me e io do un premio a te. Tutti i festival mi danno fastidio, li trovo inutili». Cosa resta allora da fare a un giornalista? «L’arte della cronaca è andare per strada, sentire la gente, soprattutto cogliere i cambiamenti di una città. Siamo testimoni e narratori, non siamo altro. Semplici operatori dell’informazione».

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