Soldi in “nero” con i rifiuti ferrosi, 5 imputati: associazione a delinquere da Salassa a Monza
SALASSA. Era il modo principe in cui alcune aziende Alto e Basso canavesane evadevano il fisco, generando proventi in nero. Il traffico illecito di rifiuti ferrosi, ma ora è stato chiesto il rinvio a giudizio per cinque persone, accusate di far parte di un’associazione per delinquere. Oltre 54 mila tonnellate trattate “in nero” per un giro d’affari di più di 10 milioni di euro.
Il sofisticato e collaudato sistema di traffico illecito è stato scoperto dalla guardia di finanza di Lanzo al termine di una lunga indagine, denominata “Black scrap”, (metallo nero) coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia. Si tratta tuttavia solo del primo passo verso un processo che non è ancora iniziato.
L’inchiesta, avviata nel 2016, ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio di cinque persone ritenute promotrici del sodalizio criminale, mentre altre 46, una quarantina sono industriali canavesani titolari di grandi aziende, sono indagate a vario titolo per reati ambientali e fiscali. Le loro posizioni potrebbero essere stralciate e archiviate. Oppure inserite in un secondo procedimento. Risulta che siano stati fatti numerosi interrogatori, ma al momento su di loro non c’è alcuna decisione.
Il controllo e il file nascosto
I cinque per cui il pubblico ministero Laura Ruffino ha chiesto il rinvio a giudizio sono i canavesani Giuseppe Milano, 54 anni, Alessandro Milano, 50 anni, Francesca Milano, 48 anni, Marina Crua, 56 anni e il brianzolo 58enne Roberto Roncalli.
Tutto è iniziato con un controllo fiscale presso la società Milano Rottami srl di Salassa, specializzata nel recupero di rifiuti metallici e ora in liquidazione. I Milano ne erano titolari e Marina Crua impiegata amministrativa. Durante le verifiche, i finanzieri hanno scoperto all’interno dei sistemi informatici aziendali il traffico. Nell’indagine c’è la movimentazione di oltre 54mila tonnellate di rifiuti ferrosi, rottami acquistati e rivenduti “in nero” per evadere le tasse.
Oltre alla gestione opaca dei flussi finanziari, le indagini hanno rivelato l’assenza del Fir, il Formulario di identificazione dei rifiuti, che è un documento di accompagnamento per il loro trasporto, contenente tutte le informazioni relative alla tipologia del rifiuto, al produttore, al trasportatore ed al destinatario.
Reati ambientali
Le cessioni avvenivano senza rispettare i requisiti di tracciabilità e i trattamenti obbligatori per legge, necessari a garantire la sicurezza ambientale. «Il fine ultimo - spiegano gli investigatori - era aggirare la normativa ambientale e incassare enormi cifre illecitamente». Il sistema, consentiva di eludere le norme sullo smaltimento dei rifiuti, reimmettendo nel mercato materiali non tracciati.
Una rete estesa e sofisticata
L'inchiesta ha fatto emergere una rete di almeno 150 aziende coinvolte tra il 2013 e il 2018, molte delle quali localizzate nell'Alto Canavese, ma operative anche in Lombardia.
Così, non tracciati e senza documentazione, tonnellate di scarti di lavorazione venivano trasportati ogni giorno verso fonderie lombarde, in particolare la Metal scrap con sede a Triuggio (Monza Brianza), eludendo i controlli.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i responsabili distruggevano sistematicamente documenti contabili come formulari di trasporto e scritture obbligatorie, nel tentativo di cancellare le prove. Nonostante ciò, gli investigatori della guardia di finanza sono riusciti a ricostruire la filiera illecita grazie a quasi mille controlli incrociati.
Le cifre e i protagonisti
Il giro d’affari complessivo è stato stimato in oltre 10 milioni di euro, oltre la metà dei quali venivano regolati in contanti, in violazione alla normativa sulla circolazione valutaria.
Le indagini si sono concentrate sui titolari dell’azienda di Salassa, che avrebbero ricevuto illegalmente materiali ferrosi da almeno 150 ditte diverse. Tra i fornitori figurano due imprese di Forno Canavese, che avrebbero conferito rottami per un valore complessivo di 1,3 milioni di euro, e un’azienda di San Giorgio Canavese, che avrebbe inviato materiale per un totale di oltre 6mila tonnellate, per un valore di un milione di euro.
Tra i 46 indagati figurano storici imprenditori dell’Alto Canavese, titolari di officine meccaniche e aziende di stampaggio a caldo con sede in Comuni come Forno, Busano, San Ponso, Valperga e Favria.
L'avvocato Andrea Bertano, legale di alcuni indagati, tra cui Marina Crua afferma «di aver appreso da fonti di stampa la notizia della richiesta di rinvio a giudizio» mentre l’avvocato Enrico Girardi che difende i Milano, interpellato, ha preferito non rilasciare dichiarazioni. Le accuse principali includono associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, gestione non autorizzata di rifiuti e frode fiscale. Secondo la Procura, il sistema era stato progettato per aggirare non solo le norme ambientali, ma anche quelle fiscali, garantendo ai partecipanti profitti milionari a discapito dell’ambiente e della legalità.