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Addio al chitarrista Stefano “Tette” Zannantonio, lutto a Belluno

Piange anche la sua chitarra. Quello strumento, che Stefano Zannantonio Martin, accarezzava o maltrattava, a seconda delle canzoni, tirandole fuori scatenate ritmiche ska.

Tette” – perché tutti gli appassionati di musica lo chiamavano così – è stato tra i fondatori delle Wongole, insieme a Carlo “Kozza” Botta, mancato anni fa. Non stava bene ormai da qualche tempo, ma aveva fatto lo stesso alcune date con gli amici vecchi e nuovi per promuovere l’ultimo cd.

Ultimamente si era verificato un veloce e inesorabile aggravamento di un male incurabile per il quale era stato ricoverato all’ospedale Santa Maria del Prato di Feltre, dove è morto venerdì 6 dicembre.

Zannantonio aveva 67 anni ed è stato una parte fondamentale della scena musicale bellunese e non solo, perché dopo il temporaneo scioglimento delle Wongole aveva suonato con i Los Catellos, sempre all’insegna del ritmo e del divertimento. Indimenticabili in provincia, per versi e musiche, pezzi come “Texas”, in onore dello storico bar di Cavarzano; “Motorino Malaguti”; la celeberrima “Luganega” («ti porto in montagna, mangiamo lì, c’ho la luganega stagna»); “Biuticul”, parodia della serie televisiva “Beautiful”; “Noio”, “Bice” e via canticchiando. Sempre con allegria e disincanto.

Dopo alcuni demo in studio e dal vivo, il primo cd è del 2002 e ha in copertina un paio di mutande messe a stendere con il nome del gruppo.

La seconda creatura è degli ultimi mesi, quando Zannantonio già non stava bene, tanto da suonare live seduto su una sedia e con il leggio dei testi davanti.

Forse avrebbe voluto morire sul palco, come desiderano tutte le più grandi rockstar; ma “Tette” era un ragazzo tra virgolette normale, pur essendo un piccolo genio. Diplomato al liceo classico Tiziano, quando viveva con la famiglia tra Bolzano Bellunese e una casa popolare di Vezzano, da grande ha lavorato alle Poste per poi fare il rappresentante di tappi da bottiglia di vino e ultimamente il bidello, come Sir Oliver Skardy, la voce dei veneziani Pitura Freska. Nel tempo libero, suonava, cantava e seminava simpatia contagiosa.

Un’ombra insieme era un’esperienza da fare.

Rimane la sua chitarra, una fedele compagna, che se non gli ha regalato il successo nazionale che le Wongole avrebbero meritato, l’ha comunque fatto divertire per tanti anni in giro per i palchi e per le feste.

Da decidere la data dell’ultimo saluto, mentre gli amici stanno già meditando un ritrovo in musica in sua memoria allo Spazio Ex.

I ricordi

Particolarmente toccato Matteo D’Incà, musicista “factotum” del gruppo fin dal 1996, ma soprattutto nipote di “Tette”.

«È stato una delle persone più importanti della mia vita. Ho cominciato a seguirlo che avevo un anno, a suonare con lui che ne avevo 16. Ho passato tutta l’infanzia ascoltando la sua musica e molti dei suoi consigli. Aveva un punto di vista sulla musica molto più serio di quanto si potesse immaginare. Una visione scherzosa, ma chiara. Ero piccolo quando mi ha spiegato il rapporto tra musica ed energia. È stato il mio eroe».

Lo ricordano con affetto, spiazzati e addolorati dalla brutta notizia, anche tanti amici e colleghi di lunga data.

«Era uno dei cervelli creativi più evidenti che avessimo nella nostra piccola terra. Quel che ha fatto e fortunatamente anche inciso è noto a tutti. Una mancanza importante, a livello sia umano che artistico», evidenzia Massimo Capraro.

Che poi ricorda: «Era stato con le Wongole a fare “Situazione Rock Reloaded” al Teatro Comunale. Lì era stato magico: a livello musicale, d’immaginazione, di creatività era una spanna sopra tutti. Così ho invitato il gruppo a tornare in sala, e qualche mese fa è uscito un cd con pezzi storici. Un grande dispiacere. Dopo Karlo Kozza, un’altra bandiera della musica indipendente bellunese se ne va».

«Questa no non dovevi dirmela… una botta mica da ridere», reagisce alla notizia, da Tenerife, Franco De Poli. «Eravamo amici fin da ragazzini. Abbiamo fatto un sacco di cose assieme, al di là delle Wongole. Condividevamo una passione, passavamo ore ad ascoltare musica. Lui ska, reggae, generi più caraibici, io più fusion, rock, progressivo. In questo momento non so che altro dire, se non che mi dispiace da matti. Mamma mia… era appena uscito il nuovo disco».

Sinceramente colpito, infine, anche Sergio Valacchi: «Una delle persone più talentuose che ho conosciuto nella mia terra. Aveva una capacità straordinaria, un’intelligenza sublime, una facilità nel creare testi assolutamente divertenti, ironici, con quel modo tutto suo di esprimersi. Uno chansonnier bellunese che ha fatto tanto, con quella grande leggerezza che lo distingueva e da cui ho imparato molto. Un artista a tutto tondo, che aveva una maniera un po’ bohémien di sentire e vivere la musica sua e degli altri. Era molto stimato e conosciutissimo perché grande persona. Su di lui ho una montagna di ricordi. Eravamo stati insieme a ricordare Marzio “Pino” Papes: adesso sapere che dovrò parlare di “Tette” è dura».

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