Siria, i ribelli alle porte di Damasco. “Assad non si trova”. Trump: gli Usa ne restino fuori
L’assalto dei ribelli siriani è entrato nella fase decisiva. Le truppe degli estremisti anti-Assad sono arrivati alle porte di Damasco, mentre è mistero su dittatore, che secondo voci insistenti avrebbe lasciato il Paese e – secondo fonti della Cnn – non si trova nella capitale. Per Bloomberg, il presidente – che si troverebbe a Teheran – sarebbe pronto a un accordo che gli permetta di mantenere le restanti aree sotto il suo controllo o garantirne l’esilio sicuro. E mentre Donald Trump chiarisce che gli Stati Uniti non si faranno coinvolgere dalla situazione siriana, Russia, Iran e Turchia chiedono la piena attuazione della risoluzione delle Nazioni Unite. L’Onu e l’Ue, invece, provano a mediare chiedendo colloqui tra le due forze, che però escludano Assad.
Dopo aver preso il controllo delle principali città, ora i ribelli puntano su Damasco: secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani con sede in Gran Bretagna, gli insorti sono ora attivi nei sobborghi di Maadamiyah, Jaramana e Daraya. I combattenti dell’opposizione, ha riferito l’Ong, stanno avanzando anche dall’est della Siria, verso il sobborgo di Harasta. Per il comandante di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), Hassan Abdul Ghani, le forze di opposizione hanno iniziato a portare avanti la “fase finale” della loro offensiva, circondando Damasco, con i ribelli che si dirigono da sud verso la capitale. Per cinque funzionari Usa, sentiti dalla Cnn, il “regime ha i giorni contati”.
L’esercito siriano ha assicurato il suo popolo i un discorso tv che sta rafforzando le linee di difesa intorno alla capitale e nel sud del Paese e che sta lanciando operazioni contro i ribelli nelle “campagne di Hama e Homs, nella Siria centrale, e nella campagna settentrionale di Daraa” nel sud. La Siria punta, ovviamente, ancora sull’aiuto della Russia. Mosca sta “facendo tutto il possibile per non far prevalere i terroristi, anche se dicono di non essere terroristi”, ha annunciato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, dopo aver incontrato a Doha i suoi omologhi turco e iraniano. Tutti e tre i Paesi hanno chiesto la “fine immediata delle attività ostili” in Siria e la piena attuazione della risoluzione delle Nazioni Unite che ha approvato una road map per la pace, adottata all’unanimità nel dicembre 2015.
Il provvedimento chiedeva un processo politico a guida siriana, che iniziasse con l’istituzione di un organo di governo transitorio, seguito dalla stesura di una nuova costituzione e si concludesse con elezioni sotto la supervisione dell’Onu. L’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Geir Pedersen, ha chiesto colloqui urgenti a Ginevra per garantire una “transizione politica ordinata” nel Paese. Che la situazione per Assad sia sempre più complicata lo conferma Lavrov: alla domanda se il governo sia minacciato dalla rapida offensiva dei ribelli, ha risposto: “Non siamo in grado di indovinare cosa succederà”. Il ministro russo ha poi incolpato gli Stati Uniti e l’Occidente per gli eventi in Siria: “Siamo molto dispiaciuti per il popolo siriano che è diventato oggetto di un altro esperimento geopolitico”.
Washington, però, deve restare fuori dalla polveriera siriana: questa, almeno, è la promessa del presidente eletto Drump. “La Siria è un caos, ma non è nostra amica, e gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che fare”, ha scritto su Truth. “Non è una nostra battaglia. lasciamo che si risolva da sola. Non facciamoci coinvolgere”. Intanto gli Stati Uniti hanno chiesto agli americani di lasciare subito la Siria. Si muove anche Israele: l’Idf ha annunciato che rafforzerà ulteriormente la propria presenza al confine con la Siria, sulle alture del Golan, mentre il premier Benjamin Netanyahu ha convocato il gabinetto di sicurezza nazionale per discutere della situazione. Gli sviluppi nell’area interessano molto anche l’Europa e, ovviamente, l’Italia. “L’obiettivo e la soluzione che noi sosteniamo è la soluzione politica, non una militare ma una soluzione che permetta di garantire la pace e la stabilità in Siria”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani al termine di una riunione alla Farnesina.
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