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Cure fuori Regione, nel 2023 la spesa pubblica è salita del 7%. Emilia, Lombardia e Veneto le mete più scelte. Anche se molti rinunciano

Aumenta ancora la spesa pubblica per la mobilità sanitaria, cioè per gli italiani che si curano in Regioni diverse da quella di residenza, spesso perché dove abitano non ci sono strutture adeguate e affidabili. I dati del 2023 sono stati presentati oggi, 12 settembre, da Agenas, l’Agenzia del ministero della Salute per i servizi sanitari regionali. In termini di spesa, nel 2023 si registra una crescita nell’ordine del 7 per cento sul 2022, che completa il trend post pandemia e porta il totale a 2,88 miliardi di euro (su circa 130 del fondo sanitario nazionale). C’è un leggero aumento anche rispetto al 2019, l’ultimo anno prima del Covid, quando i costi per la mobilità interregionale si erano attestati a 2,84 miliardi di euro.

Chi viaggia per curarsi per lo più va in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che assorbono gran parte della mobilità cosiddetta “attiva”: l’Emilia-Romagna ha di poco superato la Lombardia in termini di ricavi da pazienti “in trasferta”. Comunque sono in attivo tutte le Regioni dalla Toscana in su meno Liguria, Val d’Aosta, Bolzano e Friuli-Venezia Giulia, ma da diversi anni è in attivo anche il Molise, unica Regione del centro-sud, grazie ad alcune strutture di eccellenza – private convenzionate, of course – che attraggono pazienti, mentre per quasi tutto il resto sono i molisani a partire (la spesa per la mobilità passiva è infatti in crescita).

E’ particolarmente interessante osservare che l’aumento della spesa si registra a fronte di una diminuzione del volume di ricoveri in mobilità: sono stati 668.145 nel 2023 rispetto ai 707.811 del 2019, in sostanza poco meno di un ricovero su 10 avviene fuori regione. L’incremento di spesa, nota Agenas, “è principalmente attribuibile all’aumento della mobilità legata ai ricoveri per DRG di alta complessità, che comportano trattamenti più costosi e specializzati” (Drg è l’acronimo di “Diagnosis related group” che indica le prestazioni sanitarie cui corrispondono i rimborsi a carico delle Regioni, ndr). Si possono fare varie ipotesi sul calo dei ricoveri: una è che molti italiani per le cose meno serie abbiano rinunciato a curarsi – succede a 4,5 milioni di persone, secondo le ultime rilevazioni della Fondazione Gimbe – o almeno a viaggiare per curarsi, che comporta comunque costi per i privati anche quando le prestazioni sono coperte dal Servizio sanitario nazionale.

Una cosa è sicura: “Si è registrato un aumento del 12% nella mobilità legata a prestazioni di alta complessità, mentre la componente di media/bassa complessità ha visto una diminuzione corrispondente del 12%”. Queste prestazioni ad alta complessità sono erogate in massima parte, ovvero per il 72 per cento, da strutture private convenzionate: per molti grandi ospedali anche privati del Nord i pazienti in trasferta rappresentano una significativa quota di ricavi, infatti investono anche sull’accoglienza delle famiglie.

L’Umbria è la Regione che ha registrato il dato peggiore in termini di aumento della spesa per i suoi cittadini che si curano altrove: più 24 per cento dal 2019 al 2023. Lazio e Campania invece sono andate un po’ meglio. Campania e Calabria restano comunque le regioni che spendono di più, in valore assoluto, per i viaggi della salute: rispettivamente poco più e poco meno di 200 milioni di euro nel 2023. Emilia-Romagna e Lombardia hanno incassato la prima 387 e la seconda 383 milioni. Tutti i dati sono accessibili sul portale statistico di Agenas: https://stat.agenas.it/.

Per quanto la mobilità passiva pesi sui conti delle Regioni “povere”, i costi sono comunque inferiori agli investimenti che sarebbero necessari per garantire cure adeguate sul territorio. E’ il motivo per cui al ministero della Salute stanno elaborando un piano per una dorsale di ospedali ad alta specialità finanziati in parte dallo Stato, anche al Centro-sud. Ma anche a voler tacere dei problemi politici con le Regioni e all’interno di una maggioranza in cui convivono spinte localiste e centraliste, non è ancora chiaro da dove verrebbero i soldi.

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