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Piazza Fontana, dal mio ricordo di bambino a quando rivelai per la prima volta il ruolo del Viminale

La strage di piazza Fontana forse più di Gladio (l’organizzazione clandestina anti-invasione dei servizi segreti che fu un mio scoop da giovane cronista de l’Unità) è stata un evento che ha attraversato la mia vita. Perché, posso dire, l’ho vissuta da tutte le angolature. Bambino, adolescente, giovane giornalista, esperto di terrorismo.

I miei primi ricordi sono legati ai titoloni dei giornali, a quella notizia del terribile evento che mi aveva spaventato, alle notizie che cercavo curiosamente visto che il mio nonno paterno aveva l’ottima abitudine (chissà se per questo dalla casa sono usciti due giornalisti…) di comprare il Messaggero la mattina e Momento Sera il pomeriggio. Possibile che ci sia gente così spietata?

L’altro ricordo, un po’ sbiadito ma comunque ancora vivo nella mia memoria (avevo 8 anni) è di qualche giorno o settimana dopo. Le indagini avevano portato all’arresto del ballerino anarchico Pietro Valpreda (che era del tutto innocente) e la tv lo presentava come il mostro.

Ricordo che eravamo a Tivoli nella casa di mia nonna (questa volta materna) e lei preoccupatissima parlava del pericolo degli estremisti. Li chiamava estremisti. “Chissà dove ci porteranno…”.

Ed in effetti la strategia della tensione, avremmo capito molti anni dopo, nacque all’insegna della cosiddetta “destabilizzazione stabilizzante” che non è un ossimoro ma che era la strategia attraverso la quale la destabilizzazione, ossia il caos, avrebbe provocato nell’opinione pubblica una voglia di ordine e sicurezza che sarebbe stata la premessa per una svolta autoritaria. Stabilizzante, appunto. I fascisti protetti dai servizi segreti che mettevano le bombe e la colpa doveva ricadere sugli anarchici. Brutti, cattivi, pericolosi e che spaventavano la gente, compresa mia nonna e il bambino Gianni.



Senza dimenticare che mentre fu arrestato l’innocente Pietro Valpreda un altro anarchico – Giuseppe Pinelli – convocato alla questura di Milano cadde da una finestra e morì. Omicidio, suicidio o cosa non è mai stato stabilito. Ma si può dire che Pinelli è stata la tredicesima vittima della strage di piazza Fontana. Anche lui tra i ‘cattivi’ che ha atteso decenni prima che si riabilitasse del tutto la sua figura di vittima innocente.

Qualche anno dopo, da liceale già un po’ smaliziato, piazza Fontana era diventata per me l’evento simbolo del pericolo fascista che attraverso protezioni dello Stato e dei servizi segreti si ripresentava in forma diversa nascondendosi dietro gli anarchici. Valpreda era stato scarcerato e per tanti era diventato il simbolo dell’ingiustizia e della colpevolizzazione del dissenso. In quel periodo compravo Paese Sera e ritagliavo tutti gli articoli che parlavano delle violenze fasciste, senza immaginare che pochi anni dopo l’avrei fatto per lavoro.

Piazza Fontana poi l’ho incontrata ancora da giornalista, giovane inviato d’assalto de l’Unità, ‘promosso’ sul campo dal cronista di nera di Roma al ‘nazionale’ perché mi ero imbattuto in Gladio ed ero finito nella lista di coloro contro i quali l’allora presidente della repubblica Cossiga lanciava i suoi strali. Le famose esternazioni che i meno giovani ricordano benissimo.



E fu così che consumando le suole andando di porta in porta, suonando campanelli e intrufolandomi, poco alla volta avevo messo in piedi una rete di fonti, ossia ex terroristi, agenti segreti, poliziotti, magistrati, avvocati e vecchi testimoni che per molte diverse ragioni – in alcuni casi crisi di rigetto per lo schifo che avevano visto – avevano cominciato a ‘svuotare il sacco’. In qualche caso prima con me che con la magistratura che nel frattempo aveva riaperto le vecchie inchieste rimaste senza colpevole. Parlo dei primi anni novanta.

Un po’ per la mia tenacia, un po’ per la mia serietà (ho sempre mantenuto il segreto professionale sulle fonti e le ho rivelate – ancora non tutte – solo quando ero svincolato dal segreto) e un po’ perché avevo quella faccia che Gianni Minà definiva da ‘eterno ragazzino’  avevo conquistato la fiducia di molti.



Tra loro il generale Nicola Falde, ex dirigente dei servizi segreti ed ex iscritto alla Loggia P2 dalla quale – però – se ne era polemicamente andato via prima dello scandalo in rotta con Licio Gelli. Falde era un sincero antifascista e democratico, aveva le mani pulite e non gli piaceva essere accomunato al marciume che aveva visto.

Per tre se non quattro anni andai a trovare Falde nella sua casa almeno una volta alla settimana. Con lui che raccontava, raccontava, raccontava. In alcuni casi erano racconti privi di valore giornalistico ma solo dei suoi tempi passati ma in altri casi usciva il retroscena. E io annotavo Un po’ come i cercatori d’oro: a volte setacciano per settimane senza trovare nulla ma ogni tanto salta fuori la pepita.

Così un giorno Falde mi raccontò del ruolo del Viminale  – o meglio di un suo settore specifico che era l’Ufficio affari riservati – in piazza Fontana. All’epoca si parlava solo del Sid che era il servizio segreto militare. E invece si aprì un nuovo fronte. Il Viminale.



Quella storia l’avevo scritta in un libro ma poi riemerse perché finì in un’ordinanza. Fu rilanciata sulle agenzie di stampa e fece scalpore (ricordo che ci fece un pezzo anche Striscia la notizia) e mi trovai al centro dell’attenzione con qualche fastidio perché  all’epoca (non c’era internet, non c’erano i social, in pochi conoscevano la faccia dei giornalisti della carta stampata) preferivo lavorare nell’ombra.



Oggi ho scelto di ripubblicare i passaggi dell’ordinanza dove si racconta di questa specifica storia per la quale, anni dopo, venni chiamato al nuovo processo di piazza Fontana come testimone. Una scelta fatta nche perché dopo molti anni tornerò a parlare in pubblico di queste storie. Troppo dimenticate.



Ultima cosa per spiegare ancora meglio come piazza Fontana ha accompagnato la mia esistenza: circa dieci anni  dopo quando non ero solo giornalista d’inchiesta ma consulente della commissione sul terrorismo e le stragi del Parlamento, andai in una località protetta per incontrare Carlo Digilio, un fascista che era stato l’artificiere del gruppo di Ordine Nuovo, ossia colui che confezionò la bomba ed era anche informatore dei servizi segreti americani che di piazza Fontana sapevano tutto.



Vedere davanti una persona che con le sue azioni era stato uno dei fautori di anni terribili fu emotivamente un impatto. Soprattutto perché dopo anni passati ad immaginare i fantasmi trovarli davanti a te è come aprire il vaso di Pandora delle emozioni. Dalle immagini della banca squarciata dalla bomba a quelle dei funerali, a Valpreda, Pinelli, ai tanti che hanno  scavato a mani nude senza fermarsi davanti ai segreti di stato per cercare la verità. Rabbia, sollievo, commozione. Ma questo, se ci sarà occasione, lo racconterò un’altra volta.

Uno stralcio della sentenza-ordinanza del giudice Guido Salvini

LE CONFIDENZE DEL GENERALE NICOLA FALDE IN MERITO AGLI ATTENTATI DEL 12 DICEMBRE 1969

Nel corso dell’istruttoria, attraverso le dichiarazioni di imputati e testimoni e a seguito di acquisizioni documentali, sono emersi per la prima volta numerosi episodi e circostanze non direttamente produttrici di imputazioni, che tuttavia non possono essere del tutto sorvolati sia perché in molti casi costituiscono un riscontro, diretto o indiretto, delle testimonianze più importanti sia parche contribuiscono a mettere a fuoco il quadro del periodo in cui sono avvenuti i fatti più importanti oggetto di questa istruttoria e delle altre a questa collegate.

Alcune situazioni si riallacciano (come le confidenze del generale Nicola FALDE e le confidenze di Paolo ZANETOV a Sonia ARBANASICH) direttamente agli avvenimenti del 12.12.1969, altre (come l’attentato alla Stazione dei Carabinieri di Feltre e l’episodio in danno dell’attrice Franca RAME) riguardano il tema dei rapporti fra apparati istituzionali ed elementi dell’estrema destra, altri ancora (come i nuovi elementi emersi in merito ai NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO) sono la prosecuzione e il completamento di argomenti già trattati nella prima sentenza-ordinanza.

E’ quindi necessario soffermarsi almeno su alcuni di tali episodi sparsi, e in primo luogo in merito a quanto appreso dal generale Nicola FALDE da alcuni suoi colleghi quasi nell’immediatezza degli attentati del 12.12.1969.

Nel volume “Sovranità Limitata”, pubblicato nel 1991 e dedicato alle interferenze delle strutture politico/militari atlantiche sulla vita politica italiana e sulla c.d. strategia della tensione, i due autori, Antonio e Gianni CIPRIANI, avevano fatto riferimento ad una propria fonte personale cui, all’epoca dei fatti, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Giuseppe ALOJA, in un contesto ristretto e affidabile, avrebbe confidato che “l’attentato di Piazza Fontana era stato in qualche modo organizzato dall’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno….Il S.I.D. si era adoperato per coprire tutto”.

Gianni CIPRIANI, sentito da questo Ufficio in data 7.11.1991, pur avvalendosi del segreto professionale in merito all’identità della fonte con cui lui e il fratello erano riusciti ad entrare in contatto, aveva confermato il tenore della confidenza aggiungendo altri particolari molto significativi.

Infatti spiegava che la fonte era un appartenente ad una struttura militare dello Stato, con un ruolo di buon livello, e che lo stesso aveva ricevuto la medesima confidenza, in breve volgere di tempo e in occasione di più colloqui, circa un mese e mezzo dopo gli attentati del 12.12.1969, non solo dal generale ALOJA, ma anche da due Alti ufficiali del Reparto D del S.I.D. (dep. Gianni CIPRIANI, 7.11.1991 e 15.12.1991).

Dopo complesse investigazioni, l’Ufficiale “fonte” dei fratelli CIPRIANI veniva identificato nel generale Nicola FALDE, responsabile, fra il 1967 e il 1968, dell’Ufficio R.E.I. (Ricerche Economiche e Industriali, una sezione del Reparto D) del S.I.D., dimessosi dal Servizio nel 1969 a seguito di contrasti con il Direttore dell’epoca, ammiraglio Eugenio HENKE.

Sentito in qualità di testimone in data 26.6.1995 da personale del R.O.S., il generale FALDE non solo confermava di aver avuto contatti con i fratelli CIPRIANI durante il periodo della stesura del volume, ma aggiungeva altri particolari di interesse in merito alle notizie pervenutegli all’interno del S.I.D.:

“….confermo di aver avuto numerosi colloqui con il giornalista Gianni CIPRIANI e di avergli parlato delle notizie da me apprese in un periodo successivo al 1969, e precisamente nel 1970 e 1971 e probabilmente anche dopo, circa la strage di Piazza Fontana.

Si tratta di notizie da me recepite in occasione di discorsi con il generale ALOJA, in un primo tempo, e poi confermatemi dal colonnello VIOLA e dal generale JUCCI.

Tali notizie erano inerenti al coinvolgimento dell’Ufficio Affari Riservati nella fase di organizzazione della strage e al ruolo di copertura prestato dal S.I.D. successivamente all’operazione di strage.

Preciso che con l’Ufficio Affari Riservati i miei interlocutori intendevano indicare il Prefetto Umberto Federico D’AMATO e non la struttura nel suo insieme, così come quando si parlava del S.I.D. essi intendevano riferirsi all’ammiraglio Eugenio HENKE ed ai suoi fidati della Direzione del S.I.D. ed ai Capi degli Uffici da esso dipendenti.

Si parlò di questi argomenti in quanto Piazza Fontana fu un fatto eclatante per anni, non sono in grado di fornire ulteriori particolari, però tengo a precisare che in un contesto di intelligence e su di un argomento di tale delicatezza il solo accenno rappresentava già una confidenza di altissimo livello.

Posso solo aggiungere che ritengo di poter supporre con sicurezza che HENKE si servisse strettamente della collaborazione dell’allora colonnello ALEMANNO, Capo dell’allora Ufficio U.S.P.A., e del colonnello GASCA QUEIRAZZA, all’epoca Capo dell’Ufficio D.

Non sono in grado di darvi indicazioni neanche sulle motivazioni di quanto mi venne riferito poiché eravamo appena agli inizi del dopo strage e si guardava solo al fatto in sè e non erano ancora iniziate le analisi di questo.

I principali alleati di Umberto Federico D’AMATO nel S.I.D. furono HENKE e ROCCA perchè entrambi facenti parte del centro di potere occulto al quale accenna anche, autorevolmente, l’on. MORO.

Il colonnello ROCCA non aveva rapporti molto stretti con gli americani, anzi egli era più il referente della lobby informativa inglese che non di quella statunitense.

Tuttavia egli manteneva rapporti con gli americani a seguito della forte influenza che D’AMATO esercitava su HENKE.

Preciso che quest’ultimo fatto, cioè l’influenza di D’AMATO su HENKE, è una mia supposizione non acclarata da dati di fatto”.

(dep. a personale del R.O.S., 26.6.1995).

Si noti che la scelta del generale FALDE di rivelare il tenore delle confidenze da lui ricevute sembra ricollegarsi alla professione di antifascismo e di lealtà alle istituzioni repubblicane manifestata dall’Ufficiale, causa forse non ultima del suo allontanamento dal Servizio.

Non è purtroppo possibile approfondire ulteriormente le dichiarazioni del generale Nicola FALDE in quanto, dopo l’audizione da parte del personale del R.O.S., egli non è stato più risentito nemmeno dopo l’apertura da parte della Procura della Repubblica di Milano di un nuovo procedimento sulla strage di Piazza Fontana e, nella primavera del 1996, il generale è deceduto.

Le sue affermazioni, pur nella laconicità delle confidenze ricevute, appaiono comunque in piena sintonia con quanto emerso in merito all’intervento dei due servizi di sicurezza italiani, esistenti all’epoca, in relazione agli avvenimenti del 12.12.1969: un ruolo di connivenza e forse di ispirazione della campagna di attentati e di inquinamento della prima fase delle indagini da parte dell’Ufficio Affari Riservati; un ruolo di copertura, negli anni successivi, della struttura di ORDINE NUOVO, vera responsabile degli attentati, da parte del S.I.D.

Si pensi, con riferimento al primo profilo, al reclutamento di Delfo ZORZI in funzione anticomunista, alla fine degli anni ‘60 tramite il dr. Elvio CATENACCI, nella struttura parallela del Ministero dell’Interno (ricordata da Vincenzo VINCIGUERRA, int.3.3.1993, ff.1-2) e all’indirizzo delle indagini, sempre ad opera di funzionari del Ministero, nei confronti dei gruppi anarchici, subito dopo la strage nonchè all’occultamento di importanti corpi di reato.

Con riferimento al secondo profilo, si ricordi l’opera di sottrazione di importanti testimoni all’Autorità Giudiziaria posta in essere dal Reparto D del S.I.D., nella prima metà degli anni ‘70, procurando l’espatrio di Guido GIANNETTINI e di Marco POZZAN e “chiudendo” la fonte TURCO e cioè l’ordinovista padovano Gianni CASALINI che era in procinto di “scaricarsi la coscienza” testimoniando quanto a sua conoscenza dinanzi agli inquirenti.

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