Berrettini e un 2025 di gioie e dolori: gli infortuni, la Davis del riscatto e la maledizione dei quarti di finale
“Un giorno questo dolore ti sarà utile”. Matteo Berrettini ha voluto tatuarsi questa frase per ricordarsi che nulla si crea e nulla si distrugge. Anche la situazione più avversa può trasformarsi, avere delle componenti che serviranno a ricostruirsi. In una carriera fatta di brusche fermate e ripartenze, non si può lasciare per strada i mattoncini con cui ricomporsi quasi da zero.
“È ovvio che sia difficile parlare di dolore quando succedono cose molto più gravi nel mondo” ha osservato qualche settimana fa il tennista romano. “Se incanalato nella giusta direzione il dolore è fonte di energia, va incanalato o ti porta a terra. Il tatuaggio ricorda quello: quando le cose meno belle succedono, vanno utilizzate per reagire”.
Berrettini conclude il 2025 da numero 56 del mondo. Un anno senza aspettative, senza obiettivi prefissati a mettere pressione a un giocatore che si è arrampicato fino alla sesta posizione del ranking ed ha pagato a caro prezzo l’impossibilità di ripetersi. Con un’unica speranza: stare bene. Ritrovare il sorriso, perché altrimenti giocare a tennis diviene deleterio.
Il 2025 di Berrettini: gli incoraggianti segnali di inizio anno
Berrettini si presenta a Brisbane per il primo torneo dell’anno con una ritrovata fiducia. Il 2024 è stato un anno dispendioso per Matteo, che, crollato fuori dai migliori 150 giocatori, ha impiegato tutto se stesso per risalire la china. Compiendo persino scelte non banali. È tornato a competere nei Challenger, non solo per questioni di classifica, ma anche perché le sensazioni erano svanite insieme alle ambizioni e scendere di livello gli ha permesso di macinare partite e bocconi di ottimismo. Infatti, la scelta ha ripagato. Tre titoli ATP – Marrakech, Gstaad e Kitzbuhel – e la risalita fino alla 35esima piazza, a ridosso della soglia psicologica dei 32 posti che garantiscono una testa di serie nei tornei più prestigiosi. Senza dimenticare neppure la vittoria, la seconda consecutiva, con la casacca azzurra in Coppa Davis, dove ha trascinato la squadra insieme a Jannik Sinner.
Tutto questo gli è valso anche il “Comeback Player of the Year”, titolo dall’importanza relativa, ma simbolico nel suo significato ultimo. Tuttavia, il 2025 non inizia certo con il vento in poppa per Berrettini, che in Australia vince solamente un match, il primo turno dell’Australian Open contro Cameron Norrie, tra Brisbane e Melbourne. Il tennista romano risente pure di sorteggi non proprio all’insegna della buona sorte. Certo, non essere tra le teste di serie è un deficit non da poco per chi avrebbe bisogno di inanellare una serie di vittorie.
È proprio vero, allora, che a volte è sufficiente una scintilla per riaccendere il sacro fuoco. E, dopo l’uscita all’esordio a Rotterdam Berrettini, vittima dell’ennesimo tabellone sfortunato, è atteso da Novak Djokovic al primo turno all’ATP 500 di Doha. L’azzurro contro l’ex numero 1 del mondo ha sempre perso nelle quattro occasioni in cui se lo è ritrovato dall’altra parte della rete, tra il 2019 e il 2021. Indoor, outdoor, terra e erba sembra non fare differenza, Nole non ha mai concesso a Matteo una partita alla pari. Pare ovvio, comunque, che a quattro anni dall’ultima sfida qualcosa debba essere cambiato. Djokovic conserva i tratti leggendari dei periodi migliori, ma il tempo passa e il fisico inizia a presentargli i primi conti. Neppure l’italiano, però, è più quello capace della cavalcata fino alla finale di Wimbledon del 2021 – dove a fermarlo fu proprio Novak.
A Doha Berrettini gioca la più classica delle partite perfette: servizio ben calibrato e diritto che martella sono alla base di due set impeccabili. Nello specifico, il tiebreak che ha deciso il primo parziale è dirimente per piegare la resistenza di Djokovic che, sotto di un parziale, manca di energie per dare avvio a una possibile rimonta, finendo schiacciato sotto la potenza di Matteo. Dopo la rivincita su Griekspoor, l’azzurro ai quarti si interfaccia a colui che si rivelerà l’uomo più in forma del circuito, ovvero Jack Draper. Riesce a togliergli un set, ma nulla può contro il rientro prepotente dell’inglese.
A Dubai il 29enne riesce a bissare i quarti di finale, pur arrendendosi in tre parziali a Stefanos Tsitsipas.
Matteo è sempre più vicino alla top 30 e in occasione del Sunshine Double torna a disputare tornei da testa di serie. Se a Indian Wells si ferma al terzo turno, di nuovo contro Tsitsipas, a Miami lascia solamente un set per strada – all’esordio contro Hugo Gaston – per approdare ancora ai quarti. Zizou Bergs e, soprattutto, Alex de Minaur gli altri avversari sconfitti. Contro Taylor Fritz il compito richiesto era di un certo impegno, vista l’abilità dello statunitense sul cemento. Matteo fa partita pari. Gli manca solo il guizzo finale per portare a casa un successo che gli avrebbe spalancato le porte di una semifinale agognata e attesa con pazienza. I quarti di finale si riveleranno la maledizione del 2025, uno scoglio insormontabile.
Il 2025 di Berrettini: lo spettro degli infortuni torna ad aleggiare
Il ritorno sulla terra europea riconsegna al circuito un Berrettini top 30. Forse è ancora presto per parlare di un giocatore ritrovato nella sua totalità, perché a fare la differenza è sempre la continuità. Di prestazioni, di rendimento e di condizione fisica. Tuttavia, il mattone tritato è sicuramente la miglior superficie per Matteo, con l’erba. L’azzurro sul rosso ha vinto sei dei dieci titoli ATP – gli altri quattro sono arrivati sull’erba – e la sensazione recuperata sul cemento di poter fare partita pari con i migliori non può che lasciar intravedere squarci di luce.
A Montecarlo, dopo essersi sbarazzato all’esordio di Mariano Navone, è in rotta di collisione con Alexander Zverev, numero 1 del seeding. Un primo set stentato non impedisce a Berrettini di dare il là a una rimonta di grande caratura, che è ultimata per 7-5 al terzo. Tutto sta tornando al proprio posto. Lorenzo Musetti poi gli sbarra la strada agli ottavi di finale. Da quel match si ricavano solo buone notizie per il tennis italiano: il carrarino si avvia spedito verso la top 10 e Matteo può finalmente lucidare le ambizioni.
A Madrid, però, il fisico inizia a mandare segnali al tennista romano. Già al secondo turno contro Marcos Giron qualcosa pare non funzionare in modo ineccepibile. Alcuni problemi all’addome costringono Matteo a un grande sforzo per rimontare e avere la meglio sullo statunitense. Contro Jack Draper una forma fisica precaria rischia di darlo per spacciato già in partenza. Ciononostante, per un set la partita si svolge sui binari dell’equilibrio. Berrettini non è brillante, ma limita i danni con i suoi colpi potenti, fino ad arrendersi al tiebreak. Tra primo e secondo parziale, l’azzurro si convince a finire lì la sfida. Gli Internazionali d’Italia sono alle porte e lui conosce a menadito il proprio corpo, sa quando è bene fermarsi per non compromettere il prosieguo di un anno che potrebbe regalargli tanto.
Dopo quattro anni d’assenza, Berrettini torna a Roma. L’energia del pubblico è sempre stato un elemento imprescindibile per Matteo e l’aria di casa, esuberante e carica d’amore, può contribuire alla rinascita del 29enne romano. Peccato che, ancora una volta, sia il fisico a tradirlo, proprio quando il puzzle sembrava in procinto di ricomporsi. La vittoria tutto sommato tranquilla su Jacob Fearnley infiamma il Campo Centrale, che attendeva Matteo dal 2021. Le energie reperite dai tifosi, il sorriso tornato a illuminargli il volto quando gioca a tennis. Tutto sta andando secondo i piani.
La sua emozione risiede anche nella possibilità di giocare il doppio con il fratello Jacopo. La sorte mette davanti ai Berrettini il derby contro Musetti e Sonego. I due Lorenzo la spuntano proprio sul finale, imponendosi per 10 punti a 8 al supertiebreak. In ogni caso, è festa azzurra per tutti. Tranne che per lo stesso Matteo, che accusa il riacutizzarsi dell’acciacco agli addominali. Il giorno dopo, scende in campo comunque per il singolare, ma non riesce a ultimare l’incontro con Casper Ruud.
L’ennesimo stop di una carriera fatta di brusche frenate e ripartenze a marce basse, cadute rovinose e una perpetua ricerca della serenità.
“La cosa più brutta è quando inizi a dubitare e inizi a pensare che forse non ce la fai, ti chiedi perché sempre a te. Questo è peggio forse dell’infortunio stesso perché inizi a non dare il 100% e avere paura di sentire qualcosa”, con queste parole Berrettini si ripresenta sullo scenario tennistico in occasione di Wimbledon, un torneo a cui, francamente, non può mancare. Lui che per l’Italia ha fatto la storia dei Championships, consacrandosi come primo finalista nello Slam londinese – prima della leggendaria vittoria di Jannik Sinner. Sull’erba Matteo ha dimostrato a più riprese di saperci stare proprio bene, di essere competitivo e di creare grattacapi ai migliori. È per questo che a Londra voleva esserci. Forse è un rientro avventato, senza partite sulle gambe da maggio e con un concentrato di sentimenti eterogenei. Però vuole tornare a sentirsi un tennista, senza che il giudizio su di lui sia influenzato dai continui infortuni. Vuole che parli il campo. Nel bene e nel male. A Wimbledon i verdetti espressi dal rettangolo di gioco non sono dei migliori, con l’eliminazione al debutto per mano del polacco Kamil Majchrzak in cinque set. La consapevolezza solida e spiazzante che Berrettini evince dal match è di doversi fermare. Il ritorno frettoloso non porta con sé mai niente di buono.
Matteo così sparisce dai radar, si trincera nel silenzio tipico di chi fa del lavoro la cifra del proprio tennis, senza dare niente per scontato. L’estate lontano dal circuito non gli consente di poter difendere i titoli a Gstaad e Kitzbuhel. Ma la classifica è secondaria quando a farti lo sgambetto è il fisico.
Il 2025 di Berrettini: il riscatto in Davis e un 2026 da prendere di petto
Berrettini fa una nuova apparizione sui campi durante la tournée asiatica, dove tra Hangzhou, Tokyo e Shanghai raccoglie una sola vittoria, quella contro Jaume Munar nella capitale giapponese.
La campagna sul cemento indoor europeo va decisamente meglio. A Stoccolma si ferma agli ottavi di finale contro un avversario ostico come Ugo Humbert, mentre a Vienna approda ai quarti, dove poco può contro Alex de Minaur.
Probabilmente l’unico rimpianto è Metz: anche qui non riesce a spingersi oltre i quarti, ma la rimonta subita per mano di Learner Tien non può che rammaricare l’azzurro, visto il tabellone e le concrete possibilità di mettere in bacheca il primo titolo del 2025.
Tuttavia, le attenzioni di Berrettini sono centrate sulla Coppa Davis e anche la scelta di rinunciare all’ultimo Master 1000 della stagione – via qualificazioni – lo conferma. La defezione di Jannik Sinner pone Matteo in una posizione di guida carismatica assoluta, per esperienza e status. A lui il compito di guidare l’Italia alla Final Eight di Bologna, coadiuvato da Musetti, fresco di qualificazione per le ATP Finals. Anche se, ogni giorno che passa, la presenza di Lorenzo tra i convocati si fa sempre più in bilico, fino all’annuncio del forfait.
Il nuovo numero 1 per la compagine tricolore è Flavio Cobolli, che non può che contare su Berrettini per scendere in campo con una soglia di tranquillità rassicurante.
Matteo non tradisce: tre vittorie su tre, zero set concessi e la sicurezza di spianare la strada a Flavio per il secondo singolare. Il terzo trionfo consecutivo in Davis affonda le radici proprio qui, nei successi perentori di Berrettini. Di personalità, carattere e prepotenza. Non conta giocare bene, si affretta a ripetere l’azzurro. In una competizione così conta vincere, fare punti e andare avanti. Per il bel gioco ci saranno tempi e luoghi più consoni.
Come il 2026. Un anno in cui Matteo dovrà dare risposte. Sarà una stagione importante. Quella dei 30 anni. Anche lui d’altronde è figlio degli anni Novanta, della generazione di mezzo, che non ha saputo trovare la propria collocazione nella storia tennistica. Berrettini non si arrende, ha confessato di aver ritrovato gli stimoli giusti e il sorriso di chi sa di averne passate tante. Prefissare obiettivi non è la soluzione, ma la conseguenza. Il ranking suggerisce che di sorteggi e tabelloni semplici, a cose normali, non ne troverà.
Ci è già passato, purtroppo. Matteo ha sempre dimostrato di ricomporsi, senza pretese né proclami. E di sapere risalire, anche quando l’attenzione è giustamente rivolta altrove. Un allenamento con Sinner quest’estate lo ha convinto a non mollare. Perché giocare a tennis gli piace ancora tantissimo, troppo per darla vinta al destino.
“Io capitano di Davis? Magari quando mi ritirerò, a 65 anni…” scherzava qualche settimana fa.
Non è ancora tempo di sedersi in panchina.