De Rossi, una sola vittoria nelle ultime 7 partite: il problema della Roma non era solo Mourinho
Da quando è sulla panchina della Roma “non ha mai sbagliato una dichiarazione”, ma nelle ultime settimane qualcosa è iniziato ad andare storto, almeno sul campo: i risultati parlano chiaro. Una sola vittoria nelle ultime sette partite per Daniele De Rossi. Dall’entusiasmo a una presa di coscienza che è più di un pensiero pronunciato a bassa voce, da qui la provocazione: ma José Mourinho era l’unico vero problema dei giallorossi?
A Roma, come a Milano o in qualsiasi altra grande (e calda) piazza, l’allenatore è sempre il primo ad essere messo spalle al muro. Una situazione “comoda” quanto superficiale e che non risolve il problema (qualora ce ne fossero): nella continua ricerca del tanto acclamato – ma non sempre vincente – bel gioco, si tende a vivere con i paraocchi puntando il dito solo contro chi siede in panchina.
Effetto DDR
Comunicatore e carismatico, De Rossi ha il grande merito di aver ripulito un ambiente carico di tensioni e tossico. Alibi e polemiche messe da parte e la Roma torna a volare: nelle prime 17 partite sotto la gestione DDR, i giallorossi perdono solo due partite. Un rendimento che vale il prolungamento del contratto. Animo romanista contagioso ed esuberante (nel senso più positivo del termine). A Roma, però si vive di nervi: si passa dall’euforia generale allo psicodramma. Ed è un po’ la frenata che sta condizionando il finale di stagione: quando il livello delle partite e la posta in gioco si alza, la pressione sovrasta la qualità e le idee della rosa. L’unica vittoria contro l’Udinese è la chiave: ma la colpa non può essere solo di un allenatore che lo scorso anno veniva esonerato dalla Spal in Serie B. La Roma gioca a calcio, molto più di prima e questo è un dato di fatto. Creare occasioni, però, non sempre equivale a vincere.
Il confronto in campionato e in Europa
Siamo poi così diversi tu ed io? A dirlo di Mourinho e De Rossi sono proprio i risultati, che poi sono quello che conta. Dopo le prime venti giornate la Roma era nona a quattro punti di distanza dal quinto posto. Poi, l’esonero dell’allenatore portoghese e il ritorno di De Rossi nella capitale. Il rendimento della Roma in Serie A è cambiato, anche in termini di punti: erano 29 dopo 20 partite, ne sono stati collezionati 31 nelle successive 16. La media è passata da 1,45 punti a match a 1,94. Tirando le somme, però, è come se i giallorossi non si fossero mai veramente avvicinati alla zona Champions. Oggi infatti sono al sesto posto e davanti c’è l’Atalanta distante tre punti (e anche con una partita da recuperare). E in Europa il cammino di quest’anno si è interrotto in semifinale (l’anno scorso Mourinho era arrivato alla finale): nel destino sempre il Bayer Leverkusen, quest’anno però imbattibile per tutti.
Sarà rivoluzione nella rosa?
Le ultime settimane hanno smascherato le vere fragilità e i limiti di una squadra e dei suoi singoli. Da qui, la sentenza: la Roma non è una squadra da Champions League, almeno per questa stagione. Tutto parte dalla qualità di una rosa assemblata dalle classiche figurine: tanti nomi e poche certezze (spesso anche infortunate) come Dybala e Lukaku. Una difesa mediocre e un centrocampo spoglio aumentano i dubbi e le perplessità di una rosa che per certi versi ha over-performato per diversi mesi. E il merito di questo rendimento è proprio di De Rossi. Dunque, l’allenatore non deve finire sulla graticola, ma per ridurre il gap con le più grandi tutti i giocatori devono essere messi in discussione.
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