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Estate 2023 la più calda di sempre: lo rivela uno studio della rivista scientifica Nature

ROMA L’impatto del cambiamento climatico causato dall’uomo è sempre più evidente: il 2023 è già passato alla storia come l’anno più caldo da quando le temperature vengono registrate, ma l’estate dello scorso anno è stata addirittura la più calda degli ultimi 2 mila anni per l’emisfero settentrionale, con quasi 4 gradi in più rispetto all’estate più fredda dello stesso periodo.

L’aumento delle temperature non è l’unica conseguenza del riscaldamento globale. Il tasso di crescita attuale della CO2 è il più rapido degli ultimi 50 mila anni, ben 10 volte maggiore di qualsiasi altro aumento avvenuto nel passato, e le ondate di calore più frequenti e intense mietono sempre più vittime: negli ultimi 30 anni circa, dal 1990 al 2019, hanno causato oltre 150 mila morti in più ogni anno in tutto il mondo, con l’Italia in prima fila tra i Paesi più colpiti.

Lo studio pubblicato sulla rivista Nature e guidato dall’Università tedesca Johannes Gutenberg di Magonza è riuscito a risalire indietro fino ai tempi dell’Impero Romano, utilizzando i dati sulle temperature custoditi all’interno degli anelli di accrescimento degli alberi.

I ricercatori guidati da Jan Esper hanno così scoperto che la maggior parte dei periodi più freddi degli ultimi 2 mila anni si è verificata in seguito a grandi eruzioni vulcaniche. L’estate più fredda è stata quella del 536 d.C. e seguì proprio una di queste eruzioni, registrando 3,93 gradi in meno dell’estate 2023. Buona parte dei periodi più caldi, invece, può essere attribuita all’influenza di El Niño, il fenomeno climatico ciclico che provoca un forte riscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico.

Tuttavia, il riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra sta provocando un’intensificazione di questi eventi e, dal momento che El Niño dovrebbe restare attivo fino all’inizio dell’estate 2024, è probabile che verranno nuovamente battuti i record di temperatura.

Dai cerchi nel tronco degli alberi, alle minuscole bolle d’aria rimaste intrappolate nel corso di centinaia di migliaia di anni nei ghiacci dell’Antartide, che sono le protagoniste della ricerca sulla CO2 guidata dall’americana Oregon State University e pubblicata sulla rivista dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, Pnas. I ricercatori guidati da Kathleen Wendt hanno raccolto carote di ghiaccio lunghe fino a 3,2 chilometri, appurando che i picchi nelle concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica registrati in passato risultano associati a improvvisi cambiamenti climatici globali, forse innescati da drammatici collassi della calotta glaciale nordamericana. Durante il più grande di questi aumenti naturali, la CO2 è arrivata a circa 14 parti per milione in 55 anni: ai ritmi odierni, un tale aumento richiederebbe solo 5-6 anni.

La crisi climatica ha un impatto diretto anche sulla salute umana, come evidenzia lo studio pubblicato sulla rivista Plos Medicine e coordinato da Yuming Guo dell’australiana Monash University, a cui hanno partecipato anche Asl Roma 1 e Università di Firenze. Le morti in eccesso legate alle ondate di caldo hanno infatti rappresentato, negli ultimi 30 anni, l’1% dei decessi globali, con una media di 236 morti ogni 10 milioni di abitanti. L’Europa e l’Italia in particolare, insieme a Grecia e Malta, registrano i tassi di mortalità in eccesso più elevati in rapporto al numero di abitanti: nel nostro Paese, i decessi sono passati da una media di 694 ogni 10 milioni di abitanti nel periodo 1990-1999, a 744 tra 2010 e 2019, con un aumento del 3,5%.

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