Sempre più attacchi per chi protegge le donne vittime di violenza: quest’odio non è normale
Le pagine social di D.i.Re donne in rete sono state aggredite da una shitstorm violentissima, durata 48 ore. Uno sciame di haters organizzati ha attaccato i profili Instagram e Facebook della rete antiviolenza, dopo la pubblicazione della lettera inviata ad Eugenia Roccella, ministra per le Pari Opportunità, affinché intervenisse sui cartelloni che a Napoli pubblicizzavano un numero antiviolenza inesistente. Una comunicazione fuorviante perché il numero è molto simile al numero verde antiviolenza del DPO, e si presenta come un servizio alternativo che accoglie tutte le vittime di violenza, compresi gli uomini. Dall’altra parte c’è solo uno studio legale che offre consulenze online.
I promotori di questa iniziativa continuano da giorni a veicolare disinformazione per ignoranza o malafede, sostengono che il 1522 discrimina. Ma non c’è nessuna discriminazione, il numero verde nazionale antiviolenza accoglie richieste di aiuto da tutti i soggetti, compresi gli uomini. La Convenzione di Istanbul è chiara: “Le misure specifiche necessarie per prevenire la violenza e proteggere le donne contro la violenza di genere non saranno considerate discriminatorie ai sensi della presente Convenzione”.
La particolare attenzione rivolta alla violenza maschile sulle donne è determinata da un fatto evidente: il femminicidio rappresenta un fenomeno sistemico, trasversale, alimentato da una sottocultura che trasmette l’odio per le donne e legittima la violenza maschile. I numeri della violenza commessa dagli uomini sono più elevati rispetto alla violenza commessa dalle donne sugli uomini. Un fenomeno quantitativamente significativo è anche qualitativamente significativo.
Questo non vuol dire negare sostegno agli uomini vittime di violenza, ma non si può fare di quelle violenze un fenomeno speculare al femminicidio.
Questi i toni dei commenti degli odiatori: “Associazione D.i.Re contro la violenza, merde”, “Misandriche di merda”, “E’ un piacere leggere commenti che vi smerdano”, “Siete lo schifo della società”, “Fate schifo”, “Le nazi-femministe un cancro per questo Paese”, “Avete rotto il cazzo con la vostra misandria, tornate nelle fogne, nazifemministe del cazzo”, “Ritardate del cazzo, esplodete voi e le vostra ideologia del cazzo, morite”, “Tornerete nel letame dal quale siete venute fuori, esseri ripugnanti” ; dopo poche ore, sui muri esterni di un centro antiviolenza del nord-est, è stata apposta una scritta che cita una pagina di odiatori e negazionisti della violenza maschile contro le donne.
Il clima di odio per le donne che aiutano altre donne ad uscire dalla violenza sta montando, ma le attiviste della rete dei centri antiviolenza non si faranno intimidire. Tutti i messaggi ingiuriosi e minacciosi sono stati screenshottati e saranno denunciati alle autorità competenti.
Antonella Veltri, presidente D.i.Re, ha risposto forte e chiaro a nome di tutte: Il messaggio che questi personaggi pensano di poter disseminare è che chi si occupa di violenza maschile alle donne lo faccia perché è strutturalmente contro gli uomini. Il nostro è un impegno di civiltà e di rispetto per le donne e per tutti. Questo teorema è ovviamente falso. Gli uomini che non agiscono la violenza e che la riconoscono come violazione di diritti, infatti, sono importanti alleati della nostra Rete nel sostenere attivamente il contrasto a questo fenomeno.
Questo è solo l’aspetto più evidente di un odio che da sempre lambisce i luoghi delle donne. Nel corso degli anni, le attiviste dei centri antiviolenza sono state minacciate più volte e le loro sedi sono state oggetto di atti vandalici più o meno gravi. Tra le attiviste, le avvocate dei Centri antiviolenza sono state più volte esposte perché hanno difeso in tribunale le donne vittime di violenza.
Nel 2007, in un’aula di tribunale a Reggio Emilia, Klirimi Fejzo sparò e uccise il cognato Arjan Demcoll e la moglie Vjosa Fejzo e ferì Giovanna Fava, avvocata del Centro antiviolenza Non da sola. Viosa Fejzo era stata messa in protezione con i due figli. Le avvocate dei Centri antiviolenza sono state minacciate di morte persino nelle aule dei palazzi di Giustizia e hanno ricevuto minacce e insulti.
Le operatrici sempre più spesso si attrezzano per cercare di tutelarsi da possibili rischi, pongono attenzione quando entrano o escono dal Centro antiviolenza, o accompagnano le donne ai colloqui col servizio sociale, o quando vanno a testimoniare nei processi ai maltrattanti. Alcune sono state pedinate fino a casa. Altre hanno ricevuto telefonate minacciose.
Qualche anno fa a Ravenna, un’operatrice di Linea Rosa è stata bloccata dall’ex compagno di una donna, trascinata fuori dall’auto e strattonata (è stato poi condannato a due anni di reclusione); al Centro antiviolenza Demetra donne in aiuto (Lugo), un uomo attese l’operatrice davanti alla porta, sollevò la giacca mostrando una pistola e disse che avrebbe voluto parlare “a quattrocchi con la presidente del Centro antiviolenza”; al Goap di Trieste è stata inviata una busta con un proiettile; lo scorso Natale sulla pagina Gigapill- The Redpill Ecosystem riserva 3 sono state pubblicate una serie di minacce: “Allora. IO BRUCERO’ QUEL CENTRO. LO RASERO’ AL SUOLO DA QUI A QUALCHE MESE IN UNA DATA NON MEGLIO IDENTIFICATA”. Il bersaglio era il Centro Veneto Progetti Donna di Padova, reo di aver dato sostegno ad Elena Cecchettin, sorella di Giulia, assassinata da Filippo Turetta.
Non sono mancati atti di vandalismo: dai citofoni bruciati, all’effrazione nelle sedi delle associazioni con danneggiamento di computer o arredi. Poi ci sono gli attacchi alle attiviste che informano sul tema della violenza e ricevono ingiurie volgari e violente che talvolta coinvolgono anche i loro familiari. Da quando scrivo sul Fatto quotidiano, ormai sono 12 anni, sono particolarmente esposta ad attacchi e ho dovuto chiudere più volte i commenti alle mie pagine o bannare chi insultava.
La cosa peggiore che può capitare è imparare a convivere con questo odio come se fosse normale. La cosa peggiore è essere testimoni della sua normalizzazione.
In queste ore stanno arrivando messaggi di solidarietà da associazioni, attiviste e gruppi di uomini che da anni lavorano sul tema della violenza maschile. La senatrice Valeria Valente ha già espresso vicinanza alla rete D.i.Re e nel primo pomeriggio è arrivata la solidarietà dal Gruppo del Pd nella Commissione Parlamentare sul femminicidio. “E’ preoccupante – ha detto la capaogruppo Sara Ferrari – che queste professioniste siano così colpite solo perché in un post hanno ribadito che la violenza maschile alle donne è un dato di fatto, adempiendo al proprio mandato statutario di rendere visibile il fenomeno della violenza maschile sulle donne, modificando nella società, la percezione della sua entità e gravità per collocarlo nei crimini contro l’umanità”.
Titti Carrano, avvocata della rete D.i.Re ed esperta dei diritti delle donne, esprime la sua indignazione. “Questi sono fatti gravissimi. Sono veri e propri attacchi alla democrazia che vengono utilizzati per mettere a tacere le donne e a dare monito tutte le altre. Nel momento in cui alcuni gruppi o associazioni ricevono aggressioni devono anche disattivare le loro pagine social e in casi peggiori devono chiudere gli account. Lo spazio virtuale invece di diventare luogo di ricchezza, condivisione e confronto, diventa un campo di battaglia, crea emarginazione e limita anche l’impatto che quella pagina può avere su chi la segue”.
La direttiva europea sulla violenza approvata il 24 aprile scorso dal Parlamento europeo, pur essendo stata un’occasione persa, inserisce quattro reati che riguardano: la condivisione non consensuale di immagini, i deep fake, il cyber stalking, le cyber molestie e i discorsi di odio misogino. Sono previste aggravanti qualora i bersagli degli odiatori siano pubblici ufficiali, giornalisti o difensori dei diritti umani. Avremo più strumenti per difenderci da tutti coloro che pensano che un’opinione non condivisa sia una violenza, mentre minacciare di morte, denigrare e insultare con le stesse dinamiche dello squadrismo, in gruppo e a volto coperto, sia un diritto. Il fascismo, belli, è questo!
@nadiesdaa
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