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L’intervista. Il Cardinale Müller: “L’Europa riparta dal cristianesimo e dai valori conservatori. In Polonia deriva laicista”

Nella stanza c’è lui, Gerhard Ludwig Müller, sul mobile una foto del fratello morto in un incidente che sorride da una cornicetta con i cuoricini rosa che sembrano disegnati da un bambino, davanti a sè il Cardinale ha un bicchiere di acqua col limone col quale digerisce qualche dispiacere provocatogli da Papa Bergoglio, alle sue […]

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Nella stanza c’è lui, Gerhard Ludwig Müller, sul mobile una foto del fratello morto in un incidente che sorride da una cornicetta con i cuoricini rosa che sembrano disegnati da un bambino, davanti a sè il Cardinale ha un bicchiere di acqua col limone col quale digerisce qualche dispiacere provocatogli da Papa Bergoglio, alle sue spalle una scala con cui va a caccia di libri dagli scaffali quando perfino il suo metro e novanta non è sufficiente a raggiungere l’obiettivo. Sopra, tutto intorno e dentro di lui aleggia invece lo spirito di Joseph Aloisius Ratzinger, il maestro spirituale, che in quella casa appena fuori il Vaticano ha abitato per 24 anni e che su quella scrivania, respirando la sua stessa aria e appoggiando i gomiti su quello stesso legno, ha scritto le sue encicliche Deus caritas est, Spe salvi, Caritas in veritate, macigni del pensiero cristiano.

“Sette anni dopo essere diventato Papa, Ratzinger mi volle affidare la sua abitazione, rimasta vuota per sette anni. Mi disse, aspettavo la persona più idonea. Fu lui stesso a mostrarmela, accompagnandomi per le stanze”, racconta Sua Eminenza, tradendo un’emozione che fa fatica ad ammettere ma che si legge sul volto severo che si scioglie in sorrisi improvvisi, da vero tedesco, classe 1947. “Sento la sua presenza, qui, avverto la sua protezione, mi muovo dove lui ha scritto cose importanti e mi piace pensare che mi abbia considerato idoneo a prendere la sua casa…”.

Mentre parla il Cardinale Müller scopre ancora il fianco all’emozione e alla nostalgia, e le accoglie, stavolta, con un sorriso. Lui,  già vescovo di Ratisbona, prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fedemembro del Supremo Tribunale della Segnatura e del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, autore di 40 libri e altre 800 pubblicazioni scientifiche su teologia e filosofia, oggi è forse il Cardinale più “conservatore” del Concistoro, nel solco di Ratzinger, ma guai a equiparare quella definizione a qualsiasi idea di vecchio, superato, obsoleto. “L’antropologia, che è anche l’origine della morale, non ha nulla a che vedere col tempo, con i conservatori o i progressisti, la morale cattolica ha a che fare con la natura che non si misura in antico o moderno…”, spiega mentre sfoglia un libro su Papa Benedetto XVI del senatore Pedrizzi, con il quale si intrattiene a discutere di aneddotti su quel Pontefice così poco esplorato dai media ufficiali.

In quella casa oggi si parla più polacco che tedesco, meno che mai italiano, ma anche molto latino. Il segretario particolare del Cardinale Müller è un teologo molto noto, con cattedra a Cracovia, Don Slawek, le sue assistenti suore sono anch’esse polacche, non a caso, visto che proprio a quella nazione il Porporato dedica viaggi e riflessioni, purtroppo molto preoccupate. Il suo sguardo sul mondo, sull’Europa che dimentica i suoi valori, sulle guerre su cui qualcuno ha difficoltà a individuare i cattivi, sui diritti individuali imposti e non giustificati dalla morale, che minacciano l’esistenza stessa della società, parte proprio dal luogo dove tutto ebbe inizio, con Giovanni Paolo II, il posto dove il Pontefice riscrisse la storia che oggi rischia di tornare indietro e che oggi vive anche la minaccia dell’invasione russa oltre che del socialista Tusk.

“Putin può invadere la Polonia in qualsiasi momento, è una minaccia per tutti, l’Ucraina va difesa a tutti i costi, altro che bandiere bianche…”, spiega allarmato il Cardinale tedesco.

Eminenza, cosa sta accadendo in Polonia?

“Sono preoccupato, ci vado spesso, è un Paese che ha una storia speciale, divisa per 133 anni tra Russia e Prussia, con il popolo polacco sopravvissuto solo grazie alla Chiesa cattolica anche dopo l’arrivo di Hitler, che fece sei milioni di morti, poi del comunismo… Solo grazie a Giovanni Paolo II e Solidarność  fu scosso il blocco dell’est, dell’Unione sovietica, l’impero scuro del comunismo. Ma ora sta calando di nuovo il buio, sulla Polonia, anche per colpa della Ue, che vuole distruggere la Polonia come baluardo del cristianesimo, con un governo socialista che lotta contro i simboli del cristianesimo, la Croce, le festività, i simboli: vogliono eliminare i cattolici, come fece il nazismo, si respira un’aria pessima. Non come in Ungheria, che è il Paese dove attualmente i valori cristiani sono meglio rappresentati e difesi”.

Che influenza ha avuto su di lei Giovanni Paolo II?

“E’ stata la persona più importante, non solo nella storia della Polonia, ma del mondo. Io sono stato ordinato sacerdote quando lui è diventato Papa, nel 1978, l’anno dei tre Papi, poi mi ha ordinato vescovo: l’ho conosciuto, era come appariva, non solo un uomo di relazione ma anche una figura di altissimo livello spirituale, la sua riflessione era raffinatissima, è stato un grande filosofo dell’antropologia, della giustizia sociale, della dottrina sociale della Chiesa, contro il collettivismo, l’individualismo di certa politica”.

La politica è ancora una minaccia per il mondo cattolico?

“Sì, quando vuole ingerire sulla libertà religiosa. La nostra idea è che i politici devono servire il popolo e non essere dominus, nessuno è gerarca, ma questo vale anche per i sacerdoti con il Popolo di Dio, anche qui non devono esistere i dittatori”.

Ogni riferimento alle critiche rivolte a Papa Bergoglio in un recente libro, nel quale ha parlato di “cerchio magico” del Santo Padre, sembra non essere puramente casuale. Cosa pensa delle ultime uscite del Papa, su gay e definizioni molto esplicite, da “c’è posto per tutti” a “c’è troppa frociaggine“?

“In primis, credo che sui temi che attengono all’antropologia, al diritto naturale, alla morale cattolica, i politici debbano astenersi e non fare propaganda e la Chiesa non dovrebbe farsi strumentalizzare. Vale per il tema dell’omosessualità, dell’aborto, dell’eutanasia, della liberalizzazione delle droghe, di cui, nessuno, in natura, ha bisogno. La Chiesa è qui per condurre la gente alla vita eterna, alla felicità, all’amore di Dio, noi dobbiamo presentare la dottrina, non dare opinioni personali, noi che professiamo la Fede non possiamo accettare la falsa antropologia, l’affermazione di diritti naturali degli omosessuali in natura: noi siamo la Chiesa e Dio ha parlato solo di uomini e donne. Il Papa lo sa bene, non può fare fughe in avanti che poi vengono strumentalizzata da una certa politica Lgbt: da un lato presenta la Dottrina della Chiesa e la fa sua, nelle sedi istituzionali, dall’altro in pubblico crede di poter essere il parroco del mondo, ma non è possibile. Il parroco conosce personalmente i parrocchiani, i singoli problemi, dico, li ascolta, uno per uno, fornisce conforto, soluzioni, ma sul piano generale il vescovo deve indicare la Dottrina, la pastorale è un’altra cosa. Il Papa è maestro di fede e deve spiegarla pubblicamente, non dare risposte di comodo in pubblico che poi vendono utilizzate da chi fa politica per dire, il Papa ha detto, il Papa ci ha benedetti… quella è politica, la Chiesa non cerca il consenso, non legittima comportamenti al di fuori della Dottrina ma segna la strada che ritiene giusta, poi ognuno è libero di seguirla o meno”.

In che ambiente è cresciuto lei?

“La mia famiglia, a Magonza, era operaia, mai stata comunista, mio padre ha lavorato 40 anni con Opel: lui conosceva il mondo, era un cattolico, nulla a che vedere con il comunismo, eravamo di centro, cristiano democratici”.

Papa Ratzinger cos’era, dietro quell’aspetto riservato e apparentemente distaccato?

“L’ho conosciuto da professore, era il tipico docente tedesco, studioso, preparatissimo, non era certo un intrattenitore ma era molto umano, vicino a Sant’Agostino, San Bonaventura, non era solo un intellettuale ma un esistenzialista, sulla vita, vicino ai grandi interrogativi dell’uomo: lui era consapevole che il Verbo di Dio non basta, va spiegato, la Fede va spiegata alla gente semplice,  è complessa ma semplice da spiegare a chi vuole ascoltare. La verità è una, e le domande sempre le stesse: c’è un’alternativa a Dio? Che senso ha la vita? Siamo persi per sempre alla morte o ci riceverà Dio? La semplicità è nella risposta: sì o no? Ma se non hai l’anima, se non l’hai coltivata, se non credi di averla, non puoi neanche farti la domanda”.

Ha  condiviso la scelta di abdicare, presa a sorpresa da Papa Ratzinger?

“No, per nulla, non sono stato d’accordo, per me il Papa doveva andare avanti fino in fondo: non gliel’ho detto, ho rispettato la sua decisione, ma se mi avesse chiesto un parere gli avrei detto di aspettare. So che era stanco, che aveva difficoltà a gestire la macchina del Vaticano ma poteva farcela. L’ho visto prima che morisse, nei giardini vaticani, c’era una comitiva di fedeli in collegamento da una parrocchia polacca, volevano da me una benedizione davanti alla grotta di Fatima:  è venuto lui e ha benedetto le persone che stavano a Cracovia tramite il cellulare. Tre settimane dopo è morto”.

Eminenza, a parte una questione personale, la sua defenestrazione dalla carica di prefetto della Congregazione della Fede, “senza fornirmi alcun motivo”, come racconta nel libro, cos’è cambiato nel suo rapporto con Papa Francesco, che la nominò Cardinale?

“Non ho mai criticato pubblicamente il Papa, ho solo risposto a domande di fedeli e giornalisti: ho sempre spiegato una cosa semplice, ovvero che la dottrina cattolica, la questione della Fede e della morale sono più importanti della politica vaticana. Noi dobbiamo aiutare tutte le persone bisognose ma non possiamo dare ricette o soluzioni su temi che sono solo politici, dall’emigrazione al Covid, alla scienza, alle riforme dello Stato. Sui temi politici siamo cittadini come altri, non abbiamo più poteri di opinione di loro. I fedeli da noi vogliono ascoltare il Vangelo non le nostre opinioni personali”.

Cosa pensa del governo italiano che per la prima volta vede una donna sulla poltrona di comando, Giorgia Meloni?

“Che una donna sia al potere è normale, tutti possono, il punto non è che sia donna ma che sia brava. La donna ha un’altra sensibilità rispetto all’uomo, la soluzione migliore è avere entrambi al governo, anche la Chiesa è fondata su Pietro e Maria. Sul piano politico, in generale, senza entrare nel merito delle singole questioni, i governi e i partiti conservatori normalmente sono meno ideologizzati della sinistra e rispettano il diritto naturale, la normalità dell’esistenza, non seguono utopie collettiviste o ideologie alla Marx che non rispettano la dignità della vita, il senso comune. L’umanesimo cristiano è alla base dei valori dell’Occidente, del ruolo dell’Europa: senza cristianesimo l’Europa è nulla, non esiste, è solo burocrazia, compromesso, è altro: l’Europa dei popoli viene dalla cultura greco romana cristianizzata, e la cultura non è solo musica, letteratura o architettura, ma anche pensiero e religione, Fede…”.

Quando ha incontrato la Fede? Ricorda la scintilla, l’illuminazione? 

“Mia madre. Avevo cinque anni, si ammalò di una rara forma di tumore allo stomaco, mi dissero che sarebbe morta di lì a poco. Pregai, disperatamente il Signore che la salvasse. La salvò. Ha vissuto altri 45 anni. Quello per me fu il segnale, il miracolo che segnò la mia strada con Cristo”.

Ma allora lei crede ai miracoli? Eppure si è sempre espresso negativamente sulle varie apparizioni a Fatima, Lourdes, Medjugorie…

“Perché quelli non sono miracoli, la Fede non ne ha bisogno di manifestazioni fisiche, di visioni, di apparizioni. Gli unici miracoli in cui credo sono quello di chi affida a Dio la propria disperazione e la propria speranza e riceve un segnale che non si può vedere e toccare ma che è dentro di sè. Come accadde a me quando pregai per mia mamma”.

 

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