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Ibrahim ucciso e dato alle fiamme, il pm vuole tre condanne: 30 anni per padre e figlio, 16 per la madre

Ibrahim ucciso e dato alle fiamme, il pm vuole tre condanne: 30 anni per padre e figlio, 16 per la madre

«Nessuna attenuante, mai una parola di dispiacere per la vittima». Chiesto anche il sequestro conservativo del capannone

CASSOLNOVO. C’erano anche loro, padre e figlio, al capannone di Cassolnovo, mentre la madre ha avuto una funzione di coordinamento: per il pubblico ministero Andrea Zanoncelli tutti e tre gli imputati, parte della stessa famiglia, hanno avuto un ruolo nell’omicidio di Mohamed Ibrahim, il 44enne ucciso nel capannone di Cassolnovo la notte dell’11 gennaio 2023 e trovato carbonizzato tre giorni dopo nella sua auto, alla Morsella. Il pm al termine della sua requisitoria ha chiesto 30 anni di carcere per Claudio Rondinelli, e per il padre Antonio Rondinelli, accusati di omicidio e occultamento di cadavere, e 16 anni di carcere per Carmela Calabrese, madre e moglie degli altri imputati, che deve rispondere di concorso in omicidio. «Nessuna attenuante – per il pm Zanoncelli –: non ho sentito in questo processo una sola parola di dispiacere per la vittima, al di là delle responsabilità». Responsabilità che comunque, per il pm, «sono provate oltre ogni ragionevole dubbio».

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La parte civile

Zanoncelli ha anche chiesto il sequestro conservativo del capannone, ai fini dell’eventuale risarcimento dei danni alla famiglia della vittima, parte civile con l’avvocato Fabio Santopietro: in aula, anche ieri, c’era la sorella della vittima, Eman Ibrahim Mansour. «Hanno cercato di distruggere due volte la vittima, dipingendola come una persona violenta – sono state le parole del legale di parte civile –. Non ho mai visto un processo costellato da così tante vicende: denunce, reticenze, paure, timori, improperi verso il pm, il mettere in dubbio la volontà di un padre e di una madre di costituirsi parte civile».

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Il pm, dal suo canto, ha elencato tutti gli elementi che dovrebbero spingere la Corte di Assise presieduta da Elena Stoppini (giudice a latere Vincenzo Giordano) a pronunciare un verdetto di colpevolezza. E per rispondere alle polemiche delle difese contro l’operato della procura ha deciso in modo provocatorio di non partire, per la sua requisitoria, dalle testimonianze più pesanti, come quella del 36enne Luigi D’Alessandro, fidanzato di una delle figlie dei Rondinelli (l’altra figlia, Daniela, era la compagna della vittima, con cui aveva avuto una figlia), che ha confessato la sua partecipazione all’occultamento del cadavere (e ha chiesto di patteggiare un anno e 8 mesi) e accusato gli altri componenti della famiglia per l’omicidio, facendo anche ritrovare i bossoli fatti sparire dopo il delitto. «Ma basta il resto per arrivare a un verdetto di condanna», ha spiegato il pm.

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Le intercettazioni

Il resto sono le intercettazioni telefoniche, i tabulati, la vendita sospetta di un’auto da parte di Claudio Rondinelli, le scelte fatte da alcuni testimoni e indagati (che hanno deciso di non rilasciare mai dichiarazioni) e infine il movente, che per la procura risiede nelle pressioni che la vittima faceva alla famiglia Rondinelli per farsi intestare un appartamento dove poter prendere la residenza e chiedere l’affido esclusivo della figlioletta. Secondo la ricostruzione della procura, Mohamed Ibrahim sarebbe stato ucciso per questo, a colpi di fucile e pistola nel capannone che i Rondinelli gli avevano ceduto per mandare avanti l’attività di frutta e verdura. Il giorno dell’omicidio c’era stata a casa dei Rondinelli, a Cilavegna, una discussione con Ibrahim, al pomeriggio. Erano seguite una serie di telefonate tra i componenti della famiglia, con al centro il telefono di Carmela Calabrese. Poi, verso le 21, l’omicidio.

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