Bimba morta nella canaletta, lo strazio della mamma: non mangia da due giorni
Prende il respiro, quindi le parole escono come spine tanto è il dolore che tiene dentro. «La famiglia è distrutta. Papà Ugue non fa altro che piangere, e la mamma della piccola Jeanne non mangia e non parla da due giorni».
A parlare è Elizabeth Guemo, uno dei referenti della piccola comunità camerunese di Padova. Una comunità piccola per numeri, ma non di cuore, poiché in questi due giorni ha dimostrato tutta la sua compattezza e solidarietà.
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Le parole di Elizabeth si stagliano sul silenzio in cui ha scelto di rimanere la famiglia della piccola Jeanne Nguefack Guedjo, morta affogata a soli tre anni nella serata di domenica scorsa. Un silenzio fatto di mille lacrime, mille pensieri, mille rimpianti. E di molte domande.
Perché questa tragedia? Perché a loro? Perché a una famiglia di professionisti tanto impegnati per la comunità? Perché proprio in un giorno di festa? Se lo chiedono gli amici che fanno tappa per tutto il giorno in quell’abitazione di via Ulisse Dini 37, a Chiesanuova. Domande che non trovano però risposte, per ora.
È un via vai continuo, tanto lunedì quanto ieri. Per tutta la giornata amici e famigliari della coppia hanno fatto tappa, chi per portare un abbraccio, chi per portare un saluto. Ma alla fine, i genitori della piccola Jeanne, che in famiglia era chiamata Akyra, sono rimasti aggrappati a quel dolore tanto grande.
Il padre Ugue ha trascorso gran parte della giornata di martedì sul piccolo balcone dell’appartamento al primo piano, in compagnia di alcuni amici. Lunghi silenzi e qualche sussurro hanno scandito la giornata, mentre lo sguardo del papà di 39 anni è sempre rimasto rivolto ai campi su cui il balcone si affaccia. A bagnare quei campi, tanto le sue lacrime quanto la pioggia, che per tutta la mattinata è caduta fitta sulla città, avvolgendola come un mantello grigio di tristezza.
A confortare Ugue sono passati anche molti di quegli amici che domenica sera si trovavano con lui. Persone che con il padre di 39 anni, ingegnere informatico, quel giorno hanno condiviso tutta la pena. Prima la scomparsa della bambina, che un momento giocava con gli altri piccini e l’altro non c’era più. Quindi gli interminabili minuti di ricerca. Infine, il ritrovamento del corpicino, riverso a pancia in giù nell’acqua, trovato da un amico di Ugue. È il corpo di Jeanne, esanime, ancora viva ma in condizioni disperate.
Quindi la chiamata al Suem 118, ancora interminabili minuti di attesa, e infine la corsa in ospedale. Ma per Jeanne le speranze si affievoliscono minuto per minuto. Quando la bambina di tre anni arriva al Pronto soccorso pediatrico dell’Azienda Ospedale Università la situazione è già gravissima. Il cuoricino smette di battere qualche minuto più tardi.
Quando Jeanne tira il suo ultimo piccolo respiro, fuori dalle porte del Pronto soccorso ci sono almeno venti membri della comunità camerunese. «Non riesco ancora a capire come una simile tragedia possa essere capitata proprio a loro», racconta la referente della comunità, Elizabeth.
«È una coppia di brave persone, di professionisti rispettati – spiega la donna – ma è chiaro che sono cose che possono capitare a chiunque». Eppure, a volte, le tragedie capitano anche alle migliori famiglie. Il caso, un momento di ingenua distrazione, e la vita di un’intera famiglia si stravolge per sempre.
Per i funerali si dovrà attendere, almeno finché la Procura non deciderà se disporre o meno l’autopsia. Anche se, da un primo confronto con le versioni dei presenti alla festa nel parcheggio di Ponte San Nicolò, non sembrerebbero esserci punti d’ombra.
Le esequie si svolgeranno con tutta probabilità nella piccola chiesa africana di San Gaetano invia XX aprile, a Terranegra. Epicentro della comunità religiosa francofona del Camerun, è presieduta da don Okon Toussaint Katté.