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La Rotta balcanica di cinesi e afghani: così Trieste dà un doppio colpo ai passeur 

La Rotta balcanica di cinesi e afghani: così Trieste dà un doppio colpo ai passeur 

La Polizia di frontiera e la Polizia locale scoperchiano flussi ininterrotti di persone. Dall’Asia con l’aereo in Serbia e poi fino a Trieste in suv prima di finire schiavizzati

TRIESTE Afghani e pachistani, a migliaia. E questo si sapeva. Si sapeva meno che lungo la rotta balcanica e il confine transitano ogni giorno anche molti, moltissimi, cinesi: non richiedenti asilo, ma «merce umana», privata dei passaporti, costretta a vivere reclusa in un casolare sperduto del Veneto, portata in Italia – proprio da Trieste – per foraggiare laboratori tessili, ristoranti, centri “massaggi”.

«Fantasmi», dice in conferenza stampa il procuratore Federico Frezza, consegnando all’opinione pubblica gli esiti di una doppia indagine della Polizia di frontiera e della Polizia locale di Trieste. La prima riguarda il via vai di migranti afghani e pachistani intercettato nei boschi di Trebiciano con 7 passeur arrestati in un mese. La seconda, sulla “tratta cinese”, rappresenta invece una sorta di inedito, almeno con queste dimensioni, sul flusso di stranieri che attraversa la rotta balcanica, già osservato in tempi recenti ai valichi di Gorizia.

La tratta cinese

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È stata la Polizia di frontiera, diretta dal procuratore Frezza, a scoperchiare l’organizzazione. L’operazione “Chinese shuttles” comincia grazie a un primo arresto al valico di Fernetti del 4 aprile. Gli investigatori vanno a fondo portando a galla il sistema: flussi costanti di cinesi che, a piccoli gruppi, fanno scalo con l’aereo in Serbia, dove entrano in esenzione di visto. Poi vengono accompagnati in auto attraversando Bosnia, Croazia e Slovenia.

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Non appena arrivati in Italia, alle porte di Trieste, scatta la seconda fase della tratta: il trasporto in Suv in un punto di smistamento. Si tratta di un casolare di campagna, localizzato a Cazzago di Pianiga, tra Venezia e Padova.

Gli investigatori hanno filmato i transiti e i passaggi di denaro. In Veneto le persone rimangono uno o due giorni, prima di essere prelevate da altri autisti e portate a Venezia, Milano, Prato o all’estero. In quel casolare vengono intanto ritirati i passaporti, per buona parte contraffatti: documenti poi rispenditi in Cina.

Da quel momento, come hanno spiegato Frezza e il dirigente della Polizia di frontiera Eddi Stolf, diventano «fantasmi», destinati a laboratori, sartorie, ristoranti, centri massaggi. Un flusso «invisibile», che viaggia senza bagaglio, nascosto sotto la copertura di insospettabili cinesi ben vestiti che per trafficare i connazionali si servono di auto di potenti e costose. Risiedono da anni in Italia, parlano la nostra lingua, anche con l’accento veneto.

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Arresti e sequestri

Settantasette i cittadini cinesi individuati nell’indagine, tra cui donne e minorenni. Nove i connazionali in manette in meno di due mesi, di cui otto fermati sul confine. Arresti convalidati dal gip Massimo Tomassini. Ventisette i denunciati. Sequestrati carte di credito, passaporti, 10 mila euro in contanti trovati nel casolare e 18 veicoli. I mezzi saranno confiscati e affidati alle forze dell’ordine per le prossime indagini.

L’operazione Abisso

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Passeur incastrati dalle fototrappole a Trieste: portavano i migranti lungo la ciclopedonale Orlek -Trebiciano]]

Questa indagine, invece, è della Polizia locale (Nucleo di Polizia giudiziaria), diretta dal pm Pietro Montrone. Un’inchiesta quasi casuale, come ha evidenziato il vice commissario Marco Degrassi, partita sulle orme dei trafficanti di droga transfrontalieri e finita con l’arresto di 7 passeur in un mese, fermati mentre portavano nei boschi gruppi di migranti afghani, pachistani, nepalesi e bengalesi. Sono stati intercettati con le fototrappole sulla pista ciclabile di Orlek-Trebiciano, dove è situata la cavità “Abisso” che ha dato il nome all’inchiesta. Una parte si spostava a piedi con in testa passeur della stessa nazionalità, già entrati clandestinamente a Trieste. Altri, trafficanti ucraini, usavano auto con targhe dell’Est. Negli abitacoli e nei bagagliai erano stipate anche sette persone alla volta. —

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