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Piero Pelù: «In Deserti c’è il disagio di tante persone in difficoltà»

SPILIMBERGO. «Porto uno spettacolo molto bello, con pezzi dal nuovo album “Deserti”, altri da solista e alcuni dei Litfiba che non ho mai suonato dal vivo. Un concerto pieno di sorprese».

Piero Pelù si definisce “carichissimo” per il tour che parte sabato 29 giugno, alle 21.30, a Spilimbergo per il festival Spililand. L’anno scorso la tournée, che avrebbe dovuto fare tappa anche a Grado, fu annullata a causa di uno shock acustico patito dal cantante fiorentino. «Tecnicamente ora – racconta – dovrei aver risolto il problema degli acufeni. La medicina sta sperimentando tanto e io mi offro anche come cavia qualora sia necessario, visto che ho scoperto ne soffrono tante persone. Ho subito un incidente sul lavoro, però non mi piace lamentarmi, è la mia natura: cerco di non pesare sugli altri».

Oltre le canzoni, cosa porta sul palco di Spilimbergo?

«Dei visual girati da me nel periodo brutto in cui stavo male: mi sono immesso nella natura e ho ripreso dei dettagli che sono diventati piccole sculture viventi».

Nella band che la accompagna c’è anche Max Gelsi, bassista monfalconese che debuttò con Elisa.

«Esatto, nei Bandidos c’è un bisiaco. È una bomba atomica, fantastico, grandissimo musicista. Come del resto Elisa, grande musicista, cantante, compositrice; chi ha fatto esperienza con lei ne è uscito forte».

Nella sua carriera ha suonato spesso in regione, da Udine nell’82 a Monfalcone ’86, Trieste, Lignano, Pordenone, Majano…

«Più conosco il Friuli e più me ne innamoro. È una terra fantastica, meravigliosa. I fiumi carsici, il mare, le coste sono inarrivabili per bellezza. Trieste è la capitale della festa, confesso che ci vengo quando posso».

Con i Litfiba suonaste anche a Pola, Capodistria, Lubiana.

«Nel 1984. Oh madre de dios! Realizzo ora che sono quarant’anni fa, ho anche delle foto».

Cosa racchiude il titolo dell’album, “Deserti”?

«Al di là della sabbia che ci sta piovendo in testa, segno della desertificazione del clima, mi riferisco ai deserti che si estendono alle zone sociali: nelle nostre città si tocca con mano il disagio delle persone, la difficoltà ad arrivare alla fine del mese o a trovare un lavoro che sia stabile e ben retribuito. Il rispetto per le persone, per gli anziani, i bambini, le scuole, la sanità: è tutto un sistema che tende a desertificare la socialità».

È il secondo capitolo della “trilogia del disagio”?

«Sì, iniziata con “Pugili Fragili”, l’album del 2020 che contiene il brano del mio primo e unico Sanremo, “Gigante”. Per far capire quanto sono disagiato: in un’epoca in cui si punta sui singoli, io faccio una trilogia. Sto fuori dal tempo».

C’è una nuova versione di “Il mio nome è mai più”. A 25 anni di distanza ancora un inno alla pace?

«Scritta al tempo con Ligabue e Jovanotti. Da allora ho sempre rinnovato il mio impegno con Emergency, presenti al tour con il loro gazebo. Sono nipote di un ragazzo del ’99, quei nati nel 1899 mandati al fronte a diciott’anni, un’ecatombe, sono stato a vedere i mausolei friulani, viene la pelle d’oca. Da bambino mio nonno mi ha trasmesso che il valore della pace è sacro».

È vero che Francesco Fei sta lavorando a un documentario sulla sua vita?

«Lo stiamo girando da febbraio, sto includendo tutte le cose più belle che ho vissuto grazie alla musica, gli amici, i viaggi, il cinema, la fotografia, le arti figurative (che avrei voluto studiare ma mi mandarono al liceo classico, dove non ho imparato bene il greco e latino ma di certo ho imparato a soffrire in silenzio!)».

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