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Peter Chelsom: «Così faccio correre la fantasia delle star»



A Forte dei Marmi, fino al 14 luglio, la mostra Dream Role celebra il genio creativo del regista e fotografo inglese, famoso per film come Shall We Dance? o Serendipity. Un cinquantina di scatti dedicati ad attrici e attori celebri che negli anni hanno posato per lui. Con un fil rouge: davanti all’obiettivo interpretano il ruolo che hanno sempre sognato.

La fotografia come la scena di un film, una sottile alchimia tra senso dello humor, visioni oniriche e frammenti di vita reale. È questo l’approccio di Peter Chelsom, regista da 35 anni (tra i suoi bestseller Shall we dance?, Il commediante e Serendipity) e fotografo da sempre. «A tredici anni mio padre mi ha regalato una fantastica Kodak Retinette 1B. Improvvisamente, tutto è diventato fotografia. Un’ossessione e, al tempo stesso, il motivo per cui sono diventato regista» racconta adesso, che per la prima volta, 50 dei suoi scatti (fino al 14 luglio) sono esposti al Fortino Leopoldo I di Forte dei Marmi. Dream Role è il titolo della mostra curata da Beatrice Audrito, ma anche di un progetto che ha come obiettivo invitare attori famosi a posare per lui interpretando quello che per loro sarebbe stato il ruolo dei sogni. «Gary Oldman si è calato nei panni di Cary Grant. La fonte d’ispirazione è una scena del film di Alfred Hitchcock, Intrigo internazionale, in cui Grant viene inseguito attraverso i campi da uno di quei piccoli aerei monoposto usati per spargere sostanze chimiche sulle colture» spiega. «Il mio obiettivo è andare oltre il significato letterale e giocare sul filo dell’assurdo, in primo luogo perché Gary non assomiglia in niente a Cary. Non solo: nella foto, Oldman trafelato, non sta correndo, ma è fermo sul posto e la sua cravatta, che sembra mossa dal vento, era in realtà collegata a una corda che la faceva vibrare. Infine c’è la metafora: quel piccolo aereo che incombe alle sue spalle sta a significare che i nostri demoni non ci abbandonano mai» sottolinea.

«Quella di Jennifer Lopez è invece un altro tipo di situazione. Siamo sul set di Shall We Dance?, in un momento di pausa delle riprese. Jennifer, che puoi inquadrare da qualsiasi prospettiva perché risulta sempre bellissima, è una professionista impeccabile, come Richard Gere, l’altro protagonista. Per il tango della sequenza finale hanno studiato a distanza senza mai incontrarsi, causa impegni di lavoro, con due coreografi diversi. Poi, quando si sono ritrovati, è letteralmente scattata la magia. Richard si era allenato così duramente da essere diventato troppo bravo rispetto alle esigenze del copione. Così, per riportarlo sulla terra, gli ho fatto rivedere alcune sequenze delle prime riprese in cui, sempre per esigenze di copione, era un danzatore inguardabile» ricorda Chelsom. Il regista è originario di Blackpool, in Inghilterra, uno dei luoghi dove ha diretto Il commediante (Funny Bones) con Jerry Lewis. «Un attore straordinario e una persona deliziosa che con una singola espressione del viso racconta un mondo. La prima volta l’ho incontrato a Las Vegas, dove abbiamo fatto le prove. Mi ha regalato una copia autografata del suo libro, The Total Film Maker. Sono rimasto un po’ spiazzato perché quel libro mi ha fatto prendere coscienza del fatto che stavo dirigendo non solo un grande attore, ma anche un regista. Questo avrebbe potuto creare qualche incomprensione, ma invece è andato tutto alla perfezione. Mi diverte ricordare che nell’hotel di Blackpool dove alloggiava non c’era nessuna stanza abbastanza grande per lui, così ne prese due: una per sé e una per i suoi bagagli».

Adora l’Italia e la sua casa in Lunigiana, Chelsom: «Un potente antidoto alla follia di Hollywood, ci pensavo almeno tre volte al giorno quando abitavo in California» racconta. «A Los Angeles ho conosciuto Dave Grohl (ex batterista dei Nirvana e ora leader dei Foo Fighters, ndr). I nostri figli frequentavano lo stesso asilo. L’ho ospitato con la famiglia in Lunigiana ed è stato divertente perché è attraversato da un’energia e da una voglia di vivere contagiose. In un primo tempo non avevo incluso il suo ritratto nella mostra, poi quando l’ho rivisto stampato in formato gigante, ho cambiato idea. Purtroppo, non siamo più abituati alla bellezza della stampa su carta...». A questo proposito, le foto della mostra sono in vendita in tiratura limitata di tre esemplari per ogni formato. Lo scatto di Ludovica Martino nei panni di Elizabeth Taylor è un richiamo alla filosofia dell’immagine che anima il ritratto di Gary Oldman/Cary Grant: «Lei non assomiglia alla Taylor, ma quello che mi ha ispirato è stato un racconto secondo cui la Taylor girava il mondo sempre accompagnata da un medico accondiscendente che le prescriveva, senza obiettare nulla, tutti i farmaci che lei desiderava. Insomma, secondo questa ricostruzione, le medicine erano la seconda ossessione della sua vita. Dopo i diamanti…» spiega.

«Così è nata l’idea di questa immagine surreale con Ludovica/Elizabeth che fuma stringendo tra le dita un accendino degli anni Sessanta mentre il dottore le ausculta il cuore. Lavorare con un’attrice per realizzare uno scatto di questo tipo è molto intrigante perché gli occhi e le espressioni del volto sono allenati a raccontare una storia. Ludovica ha un grandissimo talento, ho lavorato come lei in Security, un thriller ambientato a Forte dei Marmi (che ha raggiunto il terzo posto nel mondo su Netflix Movies, ndr)». Tutt’altro mood quello che anima lo scatto in cui un imbronciato Warren Beatty sta seduto davanti alla parrucca di Diane Keaton stesa ad asciugare al sole: «Questo è il caso in cui una foto nasce da sola: stavo camminando sul set di Amori in città... e tradimenti in campagna quando mi sono imbattuto in questa scena praticamente perfetta. Un’immagine molto significativa per me perché riassume l’umore e l’atmosfera di un film che doveva essere realizzato in due mesi e che invece si è protratto per 132 estenuanti giornate. L’espressione di Warren è la sintesi di quel periodo fatto di lunghe attese e continui ripensamenti. Dove stava il problema? Che abbiamo iniziato a girare senza che la sceneggiatura fosse finita... Il risultato fu che il film non andò bene e costò un sacco di soldi. Sapevo che la mia carriera di regista stava per finire, così accettai di dirigere Serendipity (con John Cusack e Kate Beckinsale; ndr), che per mia fortuna è diventata una delle commedie romantiche più popolari di sempre».







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