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La guerra in Ucraina alza anche il costo industriale dei medicinali. E i produttori si lamentano: “Non possiamo alzare i prezzi”

La guerra in Ucraina si conferma motore di inflazione, anche in settori non così immediatamente intuibili come quello dei medicinali. “I costi degli input produttivi sono strutturalmente cresciuti rispetto alla fine del 2021, ovvero il periodo antecedente l’inizio delle tensioni geopolitiche, registrando un incremento, in media, del 30%”, si legge nel rapporto annuale di Farmindustria diffuso oggi. Negli ultimi mesi, nel complesso, “la dinamica al rialzo dei prezzi” mostra “segnali di rallentamento, anche se permane un forte gap rispetto al periodo precedente l’invasione della Russia in Ucraina”, continua il report. Unica nota positiva è il costo dell’energia, “che risulta in calo (-24,4%) ma che segue a un anno caratterizzato da un forte aumento degli input energetici (+104% nel 2022)”. Il prezzo di molti farmaci è cresciuto, soprattutto quelli da banco. Meno per quelli che richiedono la prescrizione dove i prezzi sono amministrati e negoziati. Questo, avverte Farmindustria pone “seri rischi per la sostenibilità delle produzioni in Italia”.

Eppure i dati sul settore sembrano lusinghieri. L’Italia è il sesto paese al mondo per export farmaceutico con un peso del 6% nel 2022 sul totale globale. Nel 2023, si legge nel rapporto, il commercio estero dell’industria farmaceutica è arrivato a valere 49,1 miliardi di euro, in crescita del 3% rispetto al 2022. L’export rappresenta l’indicatore che più riassume la crescita del farmaceutico in Italia: negli ultimi 10 anni ha registrato incrementi medi annui del 9,6%, un tasso doppio rispetto a quello dell’industria manifatturiera (+4,8%). Di pari passo si stanno riducendo le importazioni, che ammontano a 38,4 miliardi di euro con un -0,5% rispetto al 2022. Dato che fa registrare un saldo positivo di 10,7 miliardi di euro per il 2023.

Tra i diversi comparti, a trainare l’export sono i medicinali, che rappresentano circa l’84% delle esportazioni e il 73% delle importazioni. Le sostanze di base e gli altri prodotti costituiscono il 7,1% dell’export e il 23,8% dell’import. I vaccini, infine, rappresentano l’8,8% dell’export e il 3,3% dell’import. Questi ultimi, che rappresentano una delle specializzazioni produttive dell’Italia, hanno accumulato in 10 anni un saldo estero positivo di 7,2 miliardi di euro. Tra i principali partner commerciali nel 2023 figurano il Belgio, importante centro logistico europeo per l’esportazione dei prodotti farmaceutici nel resto del mondo, con il 15% dell’interscambio totale, gli Stati Uniti (14%) e la Svizzera (12,7%). Seguono Germania (12,5%), Paesi Bassi (8%), Cina (6%), Irlanda (5,8%) e Francia (5,5%).

La Lombardia la regione con il maggior numero di occupati tra addetti diretti e indotto (poco più di 56 mila); segue il Lazio con 29 mila e la Toscana con 17 mila. Il Lazio è invece la prima regione per valore dell’export (11,5 miliardi di euro), seguito dalla Lombardia (9,8 miliardi), Toscana (8,3 miliardi), Marche (6,7 miliardi), Campania (6,1 miliardi). Guardando alla Ricerca e Sviluppo, la Lombardia, dove ci sono 2.482 addetti alla Ricerca farmaceutica, è la prima regione, seguita dal Lazio (1.447) e dalla Toscana (1.108). Se si guarda alle province, la prima per numero di occupati nel farmaceutico è Milano, seguita da Latina e Roma. “In Italia è indispensabile una governance farmaceutica davvero moderna, con regole nuove, chiare, adatte alla rapidità dell’innovazione, superando il sistema del payback, tassa iniqua e aggiuntiva che grava sulle aziende per quasi 2 miliardi nel 2024″, ha affermato il presidente di Farmindustria Marcello Cattani.

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