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«Occorre una revisione del sistema di certificazione per gli incubatori»

L’ecosistema degli incubatori d’impresa in Italia sta diventando molto più maturo rispetto al passato, nonostante alcune “definizioni” e regolamenti di base che non sembrano essere al passo con i tempi. Requisiti che appaiono obsoleti e poco attinenti a realtà innovative che basano la propria attività sul digitale. Abbiamo parlato di tutto ciò con Giorgio Ciron, Direttore di InnovUp.  

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Solo qualche settimana fa, InnovUp ha pubblicato un manifesto in dieci punti per cercare di promuovere lo sviluppo dell’ecosistema dell’innovazione Italia. Il tutto è stato condiviso con il MIMIT, nella speranza che si arrivi – in un lasso di tempo ragionevole – a una revisione e rimodulazione di alcuni princìpi poco in linea con lo sviluppo dei sistemi, degli strumenti e della tecnologia. 

Anche perché, come sottolineato da Giorgio Ciron nella sua intervista a Giornalettismo, il tessuto socio-economico in cui innestare queste nuove realtà sta diventando sempre più ampio: «Oggi in Italia c’è un moltiplicarsi di incubatori, acceleratori, startup studio (o venture builder). Questi ultimi sono un nuovo modello di business importato dall’America che in questo momento si sta diffondendo in maniera molto significativa, prendendo spazi di mercato abbastanza rilevanti».  

Giorgio Ciron, la panoramica sugli incubatori d’impresa

Questo aumento di incubatori e acceleratori è sicuramente un dato positivo per il Paese, ma c’è il rischio che le luci si possano trasformare in ombre: «Da una parte possiamo dire che è un valore avere tanti incubatori e acceleratori perché l‘Italia è un Paese di territori, ognuno con le sue specificità e le sue eccellenze – ha spiegato Ciron – e che, quindi, ha la necessità di centri di innovazione locali. Dall’altra parte, però, c’è il rischio di un’eccessiva frammentazione e, soprattutto, il rischio che tutti questi soggetti siano così tanti che poi facciano sostanzialmente fatica a garantirsi la propria sostenibilità in termini economici». E, infatti, non è un caso che due delle principali realtà italiane abbiano optato per una fusione solo qualche mese fa: «Da questo punto di vista è significativo il fenomeno di concentrazione che è stato avviato dai due principali incubatori italiani, Digital Magics e LVenture, che lo scorso anno hanno avviato il processo di fusione che è terminato negli ultimi mesi con la nascita di Zest. Tutto ciò ci racconta di un settore che ha una tendenza al consolidamento».

Gli incubatori certificati e il sistema “vecchio”

In un nostro precedente approfondimento, abbiamo parlato della geografia” degli incubatori in Italia, sottolineando come la maggior parte siano “non certificati”: «Il dato relativo al numero degli incubatori certificati rispetto al totale degli oltre 250 incubatori presenti nel Paese– ha sottolineato Giorgio Ciron – ci racconta che nel bilanciamento tra oneri e onori legati alla certificazione oggi c’è ancora una preponderanza dei primi: i tanti adempimenti burocratici per registrarsi  non sono compensati dagli onori (incentivi fiscali, ecc.) legati alla certificazione e, quindi, non giustificano lo sforzo».  
 
Questo è uno degli aspetti riportati nel manifesto di InnovUp nel quale si fa riferimento anche alla revisione del sistema di certificazione per gli incubatori: «La normativa iniziale (lo Startup Act, ndr) è di oltre dieci anni fa. In un mercato che evolve così velocemente come quello dell’innovazione, è evidente che sia necessario aggiornarla. Una normativa anacronistica anche in termini di tassonomia, perché esiste solo la figura dell’incubatore certificato, mentre gli acceleratori, gli startup studio, i venture builder e i parchi scientifici e tecnologici non trovano una definizione nella legge attuale. Questo, dunque, è il primo lavoro da fare. Il secondo, invece, riguarda i requisiti che – ad oggi – sono in alcuni casi anacronistici. Faccio un esempio: i 500 mq che deve avere un incubatore certificato. Appare evidente che dopo la pandemia, questo sia un requisito superato».

I mentor, le figure fondamentali per gli incubatori

Tra i requisiti fondamentali, invece, c’è quello relativo ai mentor, ovvero quella persona/imprenditore che può trasferire la sua esperienza (anche solo come bagaglio culturale) alle nuove imprese per rendere l’immissione sul mercato più efficace, facendo crescere il potenziale di un’idea innovativa: «Sono molto importanti, perché rappresentano il vero valore aggiunto che può portare un incubatore a una nuova realtà aziendale – ha spiegato Ciron. Si tratta di quella persona che può aiutare effettivamente la startup in questo percorso, fare un’exit di successo e garantire all’incubatore che ha investito nelle prime fasi di vita un ritorno importante sull’investimento. Tra l’altro, quello che chiedono e cercano le startup molto spesso, soprattutto nelle prime fasi di vita, sono quelli che definiamo “smart money”: soldi connessi a qualcuno del tuo stesso settore e che può aprire delle porte, dei contatti, delle connessioni e può dare un effettivo valore alla tua azienda. Peraltro, proprio la misura – “smart money” – che finanzia con un voucher i servizi che le startup possono acquisire da un incubatore/acceleratore e che così tanto successo ha avuto nella sua prima edizione – è una delle misure che abbiamo chiesto di rifinanziare con lo Startup Act 2.0, quindi con il nostro manifesto». 

L'articolo «Occorre una revisione del sistema di certificazione per gli incubatori» proviene da Giornalettismo.

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