I requisiti per la certificazione degli incubatori sono al passo con i tempi?
Quando si parla di quelle soluzioni nate per dare un supporto a una nuova realtà imprenditoriale, soprattutto se innovativa, occorre mettere in campo delle soluzioni che seguano l’evoluzione naturale di questo ecosistema. L’esempio degli Stati Uniti è, senza dubbio, il miglior specchio in cui i Paesi possono riflettere per prendere indicazioni su come andare al passo con i tempi. In Italia, però, ci troviamo di fronte a requisiti necessari per diventare incubatori certificati che sono molto datati. La normativa di base – che riguarda tutto il sistema della crescita di startup e PMI – risale a 12 anni fa e in questo lasso di tempo molte cose sono cambiate. E non solamente a livello di concorrenza e di mercato.
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La pandemia è stato l’evento che ha messo in evidenza molte criticità strutturali del nostro Paese. E anche per quel che riguarda i requisiti incubatori certificati sono emersi alcuni dettagli che – a oggi – possono essere considerati come “superati”. Ma la legge che regolamenta i criteri per ottenere la certificazione, ancora non è stata aggiornata. Nella speranza che un ammodernamento possa arrivare nel più breve tempo possibile (ricordiamo che in Italia la maggior parte degli incubatori d’impresa non sono certificati), l’Associazione InnovUp ha pubblicato un Manifesto per rendere l’Italia una vera Startup Nation. Al passo con gli altri.
Requisiti incubatori certificati, la normativa è vecchia
Sono dieci i punti-chiave che dovrebbero entrare a far parte del dibattito politico-parlamentare e far riflettere sulla giusta strada da prendere. Soprattutto per colmare quel divario rispetto ai “concorrenti” europei per quel che riguarda gli investimenti in venture capital. Le risorse messe a disposizione da capitali esteri, dai fondi di garanzia di Cassa Depositi e Prestiti e quelli provenienti dal PNRR, sono solamente una goccia nell’oceano e che non basta a rendere più maturo e fecondo l’ecosistema degli incubatori d’impresa in Italia. Per questo motivo, InnovUp propone dieci “cose da fare” con il suo Manifesto:
- Rafforzamento e messa a sistema delle agevolazioni per gli investimenti in startup e PMI innovative: sostegno finanziario e semplificazione normativa per gli investimenti nelle startup e nelle PMI innovative, al fine di massimizzare il loro impatto e rendere più efficiente l’accesso a tali incentivi;
- Revisione delle definizioni e dei requisiti per le startup e PMI innovative: aggiornamento dei criteri di accesso e permanenza nei registri delle startup e PMI innovative per riflettere meglio la natura e le esigenze dell’ecosistema imprenditoriale;
- Revisione del quadro normativo degli incubatori certificati: adattamento delle norme che regolano le attività degli attori della filiera per rispondere alle evoluzioni del mercato e valorizzare tutti i soggetti attivi nella filiera (incubatori, acceleratori, PST, startup studio/venture builder);
- Incentivi all’internazionalizzazione: promozione dell’espansione internazionale delle startup e delle PMI innovative attraverso incentivi mirati e supporto alle attività di marketing internazionale;
- Aumento degli incentivi fiscali per gli investimenti in venture capital: introduzione e potenziamento delle agevolazioni fiscali per incentivare gli investimenti istituzionali in venture capital e imprese innovative;
- Promozione dell’Open Innovation e stimoli alle exit industriali: incentivazione della collaborazione tra imprese innovative e consolidate per favorire, la crescita delle startup e la competitività internazionale delle nostre aziende;
- Nuova modalità di costituzione telematica: semplificazione e riduzione degli oneri per la costituzione di nuove imprese, favorendo l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali;
- Attrazione e conservazione dei talenti: incentivi per supportare i dipendenti che vogliono avviare una propria startup (es.: tradurre l’indennità di disoccupazione in reddito di imprenditorialità per coloro che vogliono avviare una startup, come in Francia) e per strumenti volti a favorire le assunzioni nelle nuove imprese innovative, garantendo un sistema resiliente e competitivo;
- Supporto ai percorsi di protezione brevettuale: potenziamento delle misure di sostegno alla protezione della proprietà intellettuale per favorire l’innovazione di qualità e il trasferimento tecnologico;
- Revisione delle norme di diritto societario: adeguamento delle regole societarie per favorire gli investimenti internazionali e la crescita delle imprese innovative.
Come si evince dal contenuto di questo manifesto, non si parla solamente di revisione (per una maggiore accessibilità) a finanziamenti. Le criticità emergono anche all’interno del sistema di exit (ovvero di reale immissione sul mercato), di mantenimento degli standard e anche dei requisiti incubatori certificati.
Gli spazi e le connessioni
Nella nostra intervista a Giorgio Ciron, Direttore di InnovUp, abbiamo parlato anche di uno dei requisiti che – oramai – sembra essere obsoleto, ma che è ancora presente all’interno dei moduli (come criterio vincolante per l’ottenimento della certificazione) per inoltrare la richiesta. Parliamo degli spazi “fisici” che un incubatore deve necessariamente avere.
Oltre agli spazi (almeno 500 mq da mettere a disposizione) c’è anche il riferimento alla connettività a Internet (altro elemento che sembra essere datato). Perché si sostiene che questi criteri siano obsoleti? La pandemia ha dato una spinta verso l’alto alla digitalizzazione e alla creazione di nuovi strumenti che hanno reso non più necessaria l’esigenza di spazi fisici per sviluppare e incubare una nuova impresa innovativa. Anche perché, per definizione, le startup innovative si basano sul digitale. Ed è per questo che molti dei criteri scelti ragionevolmente nel 2012 dovrebbero essere rivisti per rendere l’Italia un Paese più competitivo.
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