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Giuseppe Serrao e l’ecosistema dell’incubatore certificato 2i3T

Per il mondo delle start-up italiane esiste sicuramente un prima e un dopo. E la data spartiacque è rappresentata senz’altro dal 2012, il momento in cui è stata varata la normativa che stabilisce il regime delle start-up innovative e degli incubatori certificati. C’è stata, quindi, una vera e propria scossa per la cultura d’impresa in Italia. Oggi assistiamo effettivamente a una evoluzione del quadro tracciato all’interno della normativa del 2012 e si sono venute a creare delle sfumature che possono essere comprese soltanto vivendo nell’ecosistema di chi fa o favorisce innovazione. Per questo abbiamo raccolto la testimonianza di Giuseppe Serrao, il direttore di 2i3T, l’incubatore di imprese che è nato grazie alla collaborazione dell’Università di Torino, della Città Metropolitana di Torino, della Fondazione LINKS e della Finpiemonte Spa.

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Giuseppe Serrao spiega la realtà dell’incubatore 2i3T

«2i3T oggi ha diversi ruoli e diversi ambiti su cui opera – spiega a Giornalettismo Giuseppe Serrao -. Nella mission di 2i3T c’è la diffusione dell’imprenditorialità e della cultura al trasferimento della conoscenza. Questo ha assunto diversi connotati dal 2007 a oggi, poiché abbiamo sviluppato la nostra attività in maniera complementare rispetto ai temi del trasferimento tecnologico. In passato, cercavamo di stimolare il sistema accademico, soprattutto partendo da dove viene prodotto il know-how, ovvero dai ricercatori e dagli studenti. Oggi, pur continuando a fare questo, cerchiamo di intervenire su due livelli: ricercatori, studenti e tutto il territorio rappresentano sicuramente il primo nostro ambito di applicazione; dopo la normativa del 2012 che ha riconosciuto il concetto di start-up innovativa e di incubatore certificato, ci siamo rivolti anche ad imprenditori ed imprese».

La realtà di 2i3T è operativa sin dal 2007, ben cinque anni prima della normativa attualmente disciplina il settore. Il passaggio a incubatore certificato, in ogni caso, è stato un processo abbastanza automatico per un incubatore come 2i3T che poteva contare su uno storico importante e su dei risultati già molto significativi: «Per noi – spiega Serrao – è stato un po’ valorizzare quello che era stato fatto negli anni, lo abbiamo percepito come un percorso naturale. È chiaro che abbiamo risposto alle domande previste dalla normativa, sia sulle dimensioni della struttura, sia sull’esperienza che dei percorsi di crescita delle start up. Abbiamo fatto convergere all’interno di queste tabelle quelli che sono da sempre stati i nostri percorsi».

Giuseppe Serrao, direttore dell’incubatore 2i3T

È importante, comunque, stabilire che i criteri dell’accessibilità delle start-up a uno spazio fisico garantito dall’incubatore non possono essere l’unico discrimine per definire ciò che è incubatore certificato: «Io ricordo, per esempio, che uno dei grandi temi che veniva affrontato proprio nel 2012 era quello degli spazi che gli incubatori mettevano a disposizione – racconta il direttore di 2i3T -. Bisogna essere chiari: essere un incubatore non significa fare il lavoro di un affittacamere, ma stimolare tutto quello che è il contesto verso il tema dell’innovazione e dell’imprenditorialità, fornendo supporto a chi è interessato a questo stesso contesto, fino ad arrivare alla definizione del piano imprenditoriale. L’ospitalità in una struttura arriva in fondo a questo processo. Oggi possiamo dire che si guarda molto di più allo sviluppo di un progetto dal punto di vista del prodotto sul quale investire e alla validazione di quest’ultimo da parte del mercato. Gli incubatori, su questo fronte, si stanno aprendo sempre di più al mondo esterno, alle relazioni, ai contatti, coinvolgendo un ecosistema più ampio. Anche in questo senso l’esperienza nel corso degli anni è stata per noi fondamentale: all’inizio, il mondo dell’innovazione – al di là di università ed enti pubblici – aveva pochi attori, adesso gli investitori sono sempre di più e si stanno anche specializzando per settori, così come esistono molti imprenditori che guardano all’innovazione e si prestano anche ad attività di mentorship verso gli startupper».

Ma quali sono i vantaggi di essere un incubatore certificato? «Per noi – continua Serrao – è importante essere incubatore certificato perché solo con questo status possiamo dare il via a determinate attività, procurandoci le risorse necessarie per operare. Ad esempio, per partecipare a determinati bandi di carattere nazionale, il requisito di incubatore certificato è assolutamente necessario. La stessa cosa vale per le start-up. Se noi andiamo a vedere la classifica degli incubatori, notiamo che alcuni incubatori certificati si trovano nella parte alta del tabellone per fatturato; tuttavia, insieme a questi ultimi ci sono anche delle holding finanziarie. Inoltre, pensiamo anche a quegli incubatori internalizzati nelle università o a quelli che possono contare sul supporto delle regioni: esistono, come abbiamo visto, modelli diversi di sviluppo a seconda degli incubatori».

Se dovessimo dare uno sguardo al futuro, in ogni caso, sarebbe estremamente importante l’aspetto della valorizzazione della cultura d’impresa. È qui, infatti, che la partita si fa interessante per gli incubatori: «Per i prossimi anni – conclude Giuseppe Serrao -, vedo un lavoro che si andrà a diversificare e credo che si possa sviluppare molto anche verso il mondo delle imprese o delle associazioni di categoria. Molti vorrebbero dotarsi di una struttura di incubazione, anche se spesso si ha scarsa consapevolezza di ciò che possa significare. Comunque, molte aziende italiane stanno coltivando rapporti con le start-up. Quello che viene fuori dal Pnrr è che tutto questo possa assumere una dimensione di attività di collaborazione e di trasferimento tecnologico tra la ricerca applicata e il concetto di innovazione delle imprese. La start-up sarà un motore di questo trasferimento di know-how allargato, ma sarà importante anche coltivare il rapporto tra ricercatori e imprese. In questo senso, i nostri incubatori potranno valorizzare questo aspetto e distribuire meglio i valori all’interno della filiera del trasferimento delle conoscenze».

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