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In Veneto come a Latina, così gli schiavi delle campagne raccoglievano il radicchio di Treviso

I colleghi di Satnam Singh raccoglievano il radicchio di Treviso nelle campagne del Veneto e potavano le viti nel rigido inverno della pianura padana.

Restavano nei campi dalle 5 del mattino fino alle dieci della sera, quando il caporale e i suoi scagnozzi passavano a prenderli per poi riportarli nelle catapecchie in cui alloggiavano, senza gas né corrente elettrica.

Treviso, provincia di Latina. Nell’Italia di oggi frutta, ortaggi e prodotti dop dell’agricoltura vengono raccolti dalle mani tremanti di lavoratori senza diritti e senza paga.

La denuncia raccolta dalla Cgil

La Flai Cgil del Veneto ha raccolto l’ennesima storia di caporalato e sfruttamento, ed è stato possibile grazie alla rete capillare che di cui il sindacato dispone in tutto il territorio nazionale.

In questa circostanza la segnalazione di un possibile “caso Treviso” è giunta proprio da Hardeep Kaur, la sindacalista di Latina che ha seguito la tragedia del bracciante morto dopo l’incidente sul lavoro che l’aveva mutilato.

E’ quindi venuta a galla questa situazione di schiavitù e sfruttamento che veniva tollerata e alimentata anche in una delle regioni locomotiva d’Italia.

“Questi lavoratori sono arrivati nel 2023 grazie a una compravendita illegale di nulla osta tra Italia e India”, ricostruisce Giosuè Mattei, della Flai Cgil del Veneto. “La legge prevede che una volta in Italia dovrebbero essere accolti dall’azienda e, entro 8 giorni, lo sportello unico per l’immigrazione dovrebbe dichiarare l’ingresso in Italia e sottoscrivere il patto di lavoro. Ma queste persone non hanno trovato nessuno ad accoglierle, sono entrate in clandestinità e hanno iniziato a girovagare per l’Italia”.

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Pagare per lavorare come schiavi

Secondo il sindacato hanno pagato una cifra tra gli 8 e i 12 mila euro per giungere in Italia con la promessa di un lavoro. Tramite i social network come TikTok sono entrati in contatto con il caporale, un quarantenne pachistano, che annunciava in rete la possibilità di avere lavoro e permesso di soggiorno.

Con lui sono stati costretti a contrarre un altro debito di circa 5 mila euro. Tra settembre 2023 e febbraio 2024 c’erano più di 50 schiavi alloggiati in due catapecchie di Ponte di Piave e Oderzo.

Il tutto accadeva senza che nessuno se ne accorgesse, nel complesso sistema dei permessi di soggiorno: né gli uffici postali che ricevevano il kit iniziale, né la Questura che poi doveva istruire la pratica.

In casa senza gas né corrente elettrica

Durante i mesi invernali erano costretti ad accendere il fuoco in bracieri improvvisati per scaldarsi e per giorni venivano lasciati anche senza cibo.

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Molti si sono ammalati di bronchite ma sono stati costretti a lavorare comunque, anche senza medicine. Pena la cacciata definitiva. Uno di loro è stato morso da una vipera ma nessuno l’ha accompagnato in ospedale o da un medico.

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Ora la sua gamba presenta ancora vistosi segni, come dimostrano le immagini raccolte dalla Cgil. “Avrebbero dovuto ricevere una paga di 6 euro l’ora, più 5 euro per ogni cassone riempito di radicchio”, spiega Mattei. “Ma in virtù del debito contratto per il permesso di soggiorno che non è mai arrivato, non hanno visto un soldo. Mi chiedo perché nessuno abbia verificato le richieste pervenute nei kit in posta”. Le foto scattate negli alloggi mostrano ambienti sporchi e condizioni disumane in cui questi lavoratori invisibili erano costretti a vivere. Materassi ammassati uno sopra l’altro e sporcizia.

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Stipati e colpiti pure dall’alluvione

Come se non bastasse tra il 16 e il 17 maggio c’è stata anche l’alluvione e la loro casa si è riempita d’acqua. Il caporale si muoveva sempre con i suoi tre scagnozzi, lesti a minacciare anche fisicamente qualsiasi tentativo di insurrezione. E le aziende agricole che ricevevano questa manodopera cosa facevano? Assolutamente niente. Certamente tolleravano. “Questo è a tutti gli effetti affitto di manodopera illegale”, denuncia ancora il sindacalista della Flai Cgil. “Gli ordini venivano dati dai proprietari dei fondi agricoli, per questo siamo convinti ci sia una responsabilità in solido. Abbiamo mandato tutte le carte in procura a Treviso”.

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"Un sistema transnazionale di sfruttamento”

C’è quindi un sistema transnazionale che muove queste masse di schiavi, in questo caso dall’India all’Italia. Per i sindacati la situazione è preoccupante e ora più che mai va affrontata in modo radicale, senza sconti. In Veneto, tanto per dare qualche numero, ci sono oltre 50 mila imprese agricole attive ma solo 299 si sono certificate per il lavoro agricolo di qualità. Tutte le altre, non pervenute. E sarebbe previsto pure l’insediamento di sezioni territoriali di questa Rete, prevista dalla legge 199. “Ad oggi in Veneto nessuna sezione territoriale si è ancora insediata, nonostante le richieste che abbiamo fatto a Prefetture e Inps”, denuncia il sindacalista della Cgil.

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L’indagine dei carabinieri

Il caso dei braccianti schiavi impiegati nelle campagne del radicchio trevigiano è culminato in un’indagine dei carabinieri ma né il caporale né i suoi aiutanti si trovano più. E si stima che abbiano incassato circa 350 mila euro, le paghe che avrebbe dovuto intascare chi si è spaccato la schiena ogni giorno sui campi. Per la cronaca, tutte queste persone sono ancora clandestine.

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