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Lubiana, l’opposizione ricorre alla Consulta contro il sì dell’Aula allo Stato palestinese

Lubiana, l’opposizione ricorre alla Consulta contro il sì dell’Aula allo Stato palestinese

Il centrodestra con NSi e l’Sds dell’ex premier Janša punta a far rendere nullo il riconoscimento bollato come irregolare

LUBIANA. È una questione troppo spinosa e intricata per passare in cavalleria, foriera invece di nuove contrapposizioni nonostante la scelta sia stata fatta, seppur tra grandi polemiche. È lo scenario che si sta concretizzando, in Slovenia, sul riconoscimento da parte di Lubiana dello Stato palestinese, una mossa coraggiosa presa a inizio giugno e fortemente sostenuta dal governo del premier Robert Golob e dalla sua maggioranza, che ha votato sì all’unanimità al riconoscimento, mentre l’opposizione di centrodestra abbandonava l’Aula in segno di protesta.

E proprio l’attuale opposizione, ossia il Partito democratico (Sds) dell’ex premier Janez Janša, e Nuova Slovenia (NSi), ha deciso di riattualizzare un tema che si pensava definitivamente archiviato. Sds e NSi hanno infatti annunciato un ricorso d’urgenza, sostenuto da 32 deputati, alla Consulta di Lubiana, argomentando che il riconoscimento della Palestina sarebbe avvenuto in violazione della Costituzione e con gravi forzature delle procedure parlamentari da parte della coalizione che sostiene Golob. Obiettivo dei due partiti, convincere la Corte costituzionale ad «annullare» il riconoscimento, così legittimando la tesi di Sds e NSi che l’hanno bollato come irregolare, frutto di «un comportamento autoritario e arbitrario» da parte di chi è al potere, si legge in una nota resa pubblica dall’Sds mercoledì pomeriggio. «La Corte costituzionale deciderà se una coalizione di governo, con una maggioranza semplice, possa violare» le regole come sarebbe accaduto il 4 giugno scorso, il giorno dello storico riconoscimento, ha spiegato lo stesso Janša.

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Ma su cosa si basa l’iniziativa dell’opposizione? Per comprenderlo bisogna tornare indietro ai giorni tesi che hanno preceduto il riconoscimento per culminare nella stessa giornata del sì in Parlamento. Chiave di volta del problema, le mozioni a firma Sds, prima presentate e poi ritirate e nuovamente messe sul tavolo per organizzare un referendum consultivo sul riconoscimento, una mossa studiata per ritardare di 30 giorni il sì parlamentare. La mozione tuttavia era stata alla fine aggirata dalla maggioranza, con un’interpretazione delle norme duramente criticata dall’Sds, spianando così la strada al voto favorevole del Parlamento al riconoscimento. Sia governo sia opposizione, a inizio giugno, agirono tuttavia «in maniera discutibile», ha precisato da parte sua all’agenzia Sta il giurista sloveno Rajko Pirnat, che ha aggiunto che i tentativi di arrivare al referendum da parte dell’Sds erano «inaccettabili» dal punto di vista giuridico.

Completamente opposta, com’era nelle attese, l’altra campana. «Sono convinto che l’Assemblea nazionale abbia seguito in maniera corretta le procedure, abbiamo discusso la mozione» dell’Sds «in commissione e poi abbiamo deciso in plenaria» di cassare l’idea del referendum, ha affermato il membro del Movimento Libertà di Golob, Borut Sajovič. Più dura – e molto pesante politicamente – la reazione della Sinistra, che ha sostenuto che l’Sds abbia agito a giugno come «diretta risposta» a richieste giunte direttamente da Tel Aviv al partito di Janša, in chiave anti-riconoscimento. «Sappiamo», ha sostenuto il deputato della Sinistra, Matej Tasner Vatovec, che «il ministro degli Esteri israeliano ha tentato di stoppare il riconoscimento della Slovenia e l’Sds ha provato ancora una volta ad agire contro gli interessi del proprio Paese», mentre l’NSi avrebbe dimostrato il suo ruolo subalterno nell’opposizione. Ora la palla passa alla Consulta.

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