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Imprenditori usurai, l’inchiesta si allarga. Trovati 28mila euro a casa di un barista

VIGEVANO. Tre persone agli arresti, una con obbligo di firma e altre dieci perquisite perché, per la procura, avrebbero avuto contatti, ora da chiarire, con i presunti usurai. I perquisiti non sono per ora indagati, ma nelle abitazioni e nei loro luoghi di lavoro (alcuni sono titolati di attività commerciali) i carabinieri che stanno indagando su un giro di usura a Vigevano hanno sequestrato, oltre a materiale informatico e cartaceo, anche denaro.

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A casa di un barista titolare di un locale in una zona centrale di Vigevano sono stati trovati 28mila euro in contanti. L’uomo, da quanto si è saputo, ha giustificato i soldi come provento della sua attività, denaro, quindi, che doveva essere depositato in banca, ma i militari hanno comunque sequestrato la somma, su cui ora sono in corso accertamenti. E proprio sui flussi di denaro si sta concentrando in queste ore il lavoro degli investigatori. In tutto, nelle perquisizioni, sono stati sequestrati 70mila euro in contanti.

Gli arrestati dal giudice

L’inchiesta ha portato in carcere Marco Pagliari, 53 anni, titolare di una ditta di carrelli elevatori di Vigevano ma residente a Gambolò, e Marco D’Onofrio, 53 anni, imprenditore edile. Agli arresti domiciliari è finito Raffaele Rosigno, un altro imprenditore vigevanese di 53 anni. Una donna di 47 anni di Vigevano, dipendente di uno degli imprenditori finiti in carcere, deve invece presentarsi ogni giorno alla polizia giudiziaria per la firma. Pagliari e D’Onofrio saranno interrogati questa mattina in carcere dal giudice Pietro Balduzzi, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare chiesta dal pubblico ministero Alberto Palermo. «La vicenda è delicata e stiamo ancora studiando gli atti e approfondendo le contestazioni», si limita a dire l’avvocata Magda Grossi, che difende D’Onofrio. L’avvocato Federico Soldani, invece, affiancherà oggi Marco Pagliari nell’interrogatorio: «Gli atti da esaminare sono parecchi, solo dopo averli approfonditi potremmo definire una linea difensiva. Di sicuro saranno oggetto di analisi approfondita».

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Usura ed estorsione a Vigevano, quattro arresti]]

Quali accuse

L’inchiesta della procura, basata sulla denuncia di due imprenditori, comincia nel 2021, ma i fatti al centro dell’inchiesta risalgono all’anno prima. In quel periodo un imprenditore che operava nel settore dei servizi si trova in gravi difficoltà economiche e decide, su consiglio di conoscenti, di rivolgersi a Pagliari per avere un prestito di 35mila euro. Prestito che, secondo l’accusa, nei mesi successivi sarebbe stato restituito con interessi sempre più alti, fino al 150 per cento. Dai 35mila euro iniziali il debito era infatti lievitato a oltre settantamila. Per saldare le rate l’uomo è stato anche costretto a vendere un capannone industriale e un’abitazione di proprietà a prezzi inferiori ai valori di mercato. Alla fine l’uomo ha denunciato e dopo pochi mesi si è aggiunta anche la denuncia di un altro imprenditore, che aveva chiesto una somma di 7mila euro, salita a 35mila euro in poco tempo.

Pagliari sarà processato per droga e possesso di un’arma irregolare

Lo hanno arrestato per usura e estorsione e, durante la perquisizione domiciliare, i carabinieri hanno trovato anche settanta grammi di marijuana e una pistola. Così Marco Elio Pagliari, imprenditore di 53 anni residente a Gambolò, ieri mattina è stato accompagnato in tribunale per la convalida dell’arresto per le armi e la droga. Il giudice Fabio Lambertucci lo ha convalidato come aveva chiesto il pubblico ministero Antonella Santi e ha fissato il processo il 9 settembre prossimo. Il giudice non ha chiesto il carcere per questo reato perché Marco Elio Pagliari è già dietro le sbarre per la parte principale dell’inchiesta coordinata dalla procura della repubblica di Pavia.

La perquisizione è stata eseguita mercoledì mattina nell’abitazione di Gambolò. I carabinieri hanno trovato una vecchia pistola a due canne con i colpi inseriti. «L’ho ereditata – si è giustificato l’imprenditore – e non pensavo che la dovessi denunciare. Non sapevo nemmeno di avere i colpi in canna». Ma non ha aggiunto altro e non ha precisato da chi l’aveva ricevuta in eredità.

I laboratori del Ris

Adesso l’arma sarà inviata nei laboratori del Ris di Parma (il reparto scientifico dei carabinieri) per essere esaminata. Gli accertamenti potranno chiarire se eventualmente la pistola sia stata usata per mettere a segno rapine o altri tipi di reati. Per quanto riguarda la droga è stato lo stesso indagato a consegnare ai carabinieri un barattolo che conteneva settanta grammi di marijuana. «È per me», si è giustificato. —

A. A.

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