Keir Starmer presenta il governo: moderati ma con qualche pennellata di rosso
Un governo a trazione moderata, infarcito di fedelissimi e con qualche pennellata di rosso (o di rosé) affidata a esponenti della cosiddetta `soft left´ laburista. È la squadra che Keir Starmer, premier britannico da poche ore in forza del trionfo elettorale del 4 luglio, ha formato a tambur battente, non appena aver riportato il Labour a Downing Street dopo 14 anni di digiuno.
Un team con tante donne e non pochi rappresentanti di minoranze etniche, in omaggio alle differenze e forse alla necessità di compensare la sua stessa immagine di 61enne `maschio bianco londinese´ certo meno innovativa, sotto il profilo del melting pot, rispetto a quella del predecessore 44enne Rishi Sunak, primo capo del governo di Sua Maestà di radici familiari indiane (come lo stesso sir Keir non ha mancato di ricordare, concedendo al rivale sconfitto l’onore delle armi).
Ma soprattutto un team quasi fotocopia del gabinetto ombra che lo ha affiancato negli ultimi tempi come leader dell’opposizione. Un gruppo di lavoro affiatato e allineato nelle intenzioni, a cui spetterà dar corso all’approccio manageriale del «governo di servizio» che sir Keir intende guidare. E avviare «immediatamente» quel programma «di ricostruzione nazionale» articolato nei primi 100 giorni in priorità quali «la stabilità e il rilancio dell’economia», la sanità, l’edilizia pubblica, la sicurezza e il contrasto (senza piano Ruanda) «dell’immigrazione illegale» sul fronte interno; nonché, sulla trincea internazionale, da una sostanziale continuità rispetto ai Tory nella politica delle alleanze (primo viaggio del premier la settimana prossima negli Usa per il vertice Nato), oltre che nella linea dura contro la Russia in Ucraina.
Un contesto nel quale Rachel Reeves, 45 anni, e un passato da analista alla City, viene chiamata a garantire una politica economica cauta e tendenzialmente liberale, gradita all’establishment, nei panni di prima cancelliera dello Scacchiere donna nella storia del Regno; David Lammy, 51 anni, avvocato londinese come Starmer, ma di sangue caraibico, viene promosso da ministro degli Esteri ombra a titolare del Foreign Office; Yvette Cooper, veterana 55enne del Labour `governista´ allevata con il marito (ed ex ministro) Ed Balls alla scuola di Gordon Brown, resta alla guida degli Interni per gestire lo spinoso dossier migranti; e il 64enne John Healey, in gioventù sottosegretario con Tony Blair e ora sostenitore della fermezza nell’invio delle armi a Kiev, viene confermato alla Difesa.
Senza dimenticare Pat McFadden, 59enne uomo-macchina del partito, nato in Scozia da genitori irlandesi, che dopo essere stato responsabile della campagna elettorale diventa cancelliere del ducato di Lancaster e coordinatore dell’ufficio di gabinetto, vero e proprio braccio destro di sir Keir. O ancora Shabana Mahmood, 44 anni, musulmana laica e avvocata con studi a Oxford, promossa a ministra della Giustizia.
Mentre a presidiare il fianco sinistro di un partito ormai depurato da tutti i radicali della corrente che fu di Jeremy Corbyn – salvo una decina di deputati `backbenchers´ superstiti come Diane Abbott, Mother of the House in pectore in quanto parlamentare donna con la più lunga anzianità alla Camera dei Comuni nella legislatura entrante – spiccano almeno i nomi di due soft leftist in ruoli chiave: la vice leader Angela Rayner, figlia della working class di Manchester, elevata a vicepremier con delega all’Edilizia e al Levelling Up (il riequilibro economico e sociale delle aree più svantaggiate del Paese); ed il redivivo Ed Miliband – già beniamino dei sindacati, oltre che effimero leader di partito preferito in passato al fratello blairiano David – designato alla guida dello strategico settore della transizione verde come ministro dell’Energia e dell’Ambiente
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