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“24 voci ucraine e russe”, l’orrore della guerra nell’ultimo libro della dissidente del Cremlino Katerina Gordeeva: “L’uomo è terribile”

“24 voci ucraine e russe”, l’orrore della guerra nell’ultimo libro della dissidente del Cremlino Katerina Gordeeva: “L’uomo è terribile”

“A scatenare la guerra è stato il Paese che abbiamo avuto in sorte come patria. E questo significa che la mia nazione, formalmente anche a nome mio, ha mosso guerra a quelli che amo”. Katerina Gordeeva, per le autorità russe, è una nemica, un agente straniero. La scrittrice già premio Anna Poltikovskaya, che dopo l’annessione […]

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“A scatenare la guerra è stato il Paese che abbiamo avuto in sorte come patria. E questo significa che la mia nazione, formalmente anche a nome mio, ha mosso guerra a quelli che amo”. Katerina Gordeeva, per le autorità russe, è una nemica, un agente straniero. La scrittrice già premio Anna Poltikovskaya, che dopo l’annessione della Crimea nel 2014 è scappata all’estero (insieme a milioni di follower che seguono sui canali social le sue inchieste), ha per nemico il Cremlino e dalla sua parte un coro di premi Nobel.

Per il direttore della Novaya Gazeta Muratov è “un’alternativa unipersonale a una colossale macchina di propaganda”. Secondo Svetlana Aleksevic “un giorno le persone studieranno la storia leggendola sui libri di Katerina Gordeeva”. Soprattutto dall’ultimo: Oltre la soglia del dolore. 24 voci ucraine e russe, per chi sa ascoltare, edito da 21lettere. E un altro Nobel russo c’è in esergo al libro: “Solo l’odio vola da sud a nord più veloce della primavera”. Versi di Iosif Brodsky.

Nella dedica della scrittrice la chiave di volta del libro intero: “a tutti quelli che amo da entrambi i lati della guerra”. Da ogni lato si soffre. Gordeeva è tra quelli che continuano a ribadirlo, nonostante gli improperi social e lapidazioni digitali. Da un capitolo all’altro, l’autrice sale e scende dai treni, attraversa frontiere che trovano sempre meno corrispondenze con quelle del passato o delle mappe geografiche; raggiunge chi una casa non ce l’ha più e abita l’altrove, un altrove dove ha trascinato anche quello che ha visto nella guerra scoppiata nel febbraio 2022, quando l’inimmaginabile è accaduto e ha avvolto tutti in una spirale di odio.

Cosa è successo: ognuno lo racconta a suo modo, sapendo che se “vai a chiedere al mio vicino, ti dirà il contrario”. Vallo a chiedere a un terzo e un quarto e racconteranno tutti una storia diversa, asseriscono i protagonisti-testimoni dell’orrore. E quelle storie la scrittrice le riporta tutte: fughe, morti, rifugi in terre sconosciute, pianti dopo “freddo, buio e morte dei missili russi”.

C’è il marito di Tamara diventato volontario nelle brigate di Lugansk dopo il ferimento di suo fratello in un bombardamento. Le delusioni dell’arrivo del russky mir, “il mondo russo”: “noi ci aspettavamo che sareste venuti da noi e avremmo cominciato a vivere in modo nuovo”. Come molti morti in guerra, anche molti vivi non hanno nome. Invece in “Oltre la soglia del dolore” parlano.

Nel capitolo tre, “Pancia”, una madre si risveglia dopo la bomba: si accorge che continua a stringere tra le sue mani quelle della figlia Raja. Ma di lei è l’unica cosa che rimane: la sua famiglia è diventata “carne bruciata”. Nera. “Sparavano, pisciavano, cagavano nelle nostre case, nelle case dove vivevamo, dove ci amavamo”: Julia va in giro con una calamita in tasca. La prende e la attacca alla scheggia metallica che le sporge dal cranio, poi la ripone in tasca: dimostra così a tutti quello che le hanno fatto.

“Da una finestra pendeva un divano. Blu: mi è rimasto impresso”. E un bastone con su scritto cadavere. Sono i ricordi di Marina che come altre madri, mentre tutto intorno esplode, spiega cosa è la guerra a suo figlio mentre rimangono chiusi per mesi nei sotterranei. Sulle loro teste passano e ripassano soldati con loro le bandiere: “quella della repubblica di Donetzk, quella dell’Azov, i ceceni, i russi. Noi di bandiere non ne abbiamo mai avute. Siamo stati rintanati ad aspettare che se ne fossero andati tutti”. Non li hanno ammazzati, dice, “per pigrizia probabilmente”. “Morirà. E la sua morte sarà ripresa da un drone”.

Tanya, mentre scappava da Mariupol, lungo la strada, non ha incontrato nessuna persona viva: lo racconta alla scrittrice confessando che ha disimparato a piangere. È tra i profughi ucraini salvati da volontari russi che hanno rischiato l’arresto per farli arrivare in Europa. Un’altra Tanya, qualche capitolo dopo, dirà che la cosa più terribile in guerra non sono carri e bombe: “in guerra la cosa più terribile è l’uomo”. Cosa è l’inferno lo sanno entrambe: “un sotterraneo, un bambino che di continuo nasce e muore, e i dannati che sanno con certezza che è colpa loro”.

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