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Boxe azzurra a Parigi: la prima volta di Aziz Abbes Mouhiidine



Il pugile Aziz Abbes Mouhiidine prepara il debutto alle Olimpiadi con un unico grande traguardo: riuscire a vincere subito l’oro salendo sul ring con un alleato invisibile. E assolutamente speciale.

Con lui convivono la spinta del coraggio, i freni imposti da qualche demone, le ondate d’impeto dell’avversario. Ogni incontro è un temporale di pensieri, una tempesta di emozioni: «Non è vero che noi pugili non abbiamo paura. Io lo ammetto, ho paura. So che quando salgo lì sopra posso prendere un pugno che manda all’aria i piani, la preparazione, tutti i miei sogni. Ma so trasformare quelle sensazioni nella giusta adrenalina, nella voglia di vincere». Aziz Abbes Mouhiidine, 25 anni, peso massimo azzurro, un oro continentale e due argenti mondiali, ha un alleato in più. Sul ring, è meno solo dei suoi sfidanti: «Mio padre è sempre con me. Prima di andarsene mi disse: “Toccati il petto per tre volte, capirai che sono lì al tuo fianco”. Faccio questo gesto all’inizio di ogni incontro e subito sento accanto il mio angelo custode».

Scomparso per una malattia quando il ragazzo aveva 19 anni, il padre di Abbes è stato la molla della sua passione per i guantoni. È cominciata da un momento condiviso, guardando assieme Alì, il film con Will Smith in cui l’attore interpreta l’icona assoluta della boxe. «Muhammad Alì è il pugilato, ci sono altri atleti bravi, lui rimane inarrivabile. Era la nobile arte fatta persona. Mi ha segnato e mi aiuta a diventare quello che sto cercando di essere». Un campione completo, prossimo al debutto alle Olimpiadi di Parigi (dal 26 luglio), nel cervello e nel cuore lo sconcerto dell’attesa per la prima volta. «Sono emozionatissimo, è la gara di una vita. È una fortuna che sia in Europa, vicino casa, così tanti amici e familiari potranno venire a vedermi e a sostenermi. La sto preparando da un’enormità di tempo, mi sento maturo, penso di avere l’età giusta per partecipare alla competizione più importante in assoluto». Di un livello superiore alle altre: «Quella che ricordano tutti. Nei campionati mondiali non mancano le occasioni per battere un record. Con le Olimpiadi è diverso: si entra nella storia». Figlio di papà marocchino e madre campana, anima partenopea, Abbes non concede spazio alla scaramanzia. «Anzi sì, faccio i giusti scongiuri, poi lo riconosco: il traguardo non può essere il bronzo, né l’argento. L’unico obiettivo possibile è l’oro». Una vetta che è il coronamento naturale di qualsiasi sport, del pugilato ancora di più, un gioco a due dove il secondo è il perdente, lo sconfitto. «Mi alleno duramente, so che potrò avere di fronte qualcuno più forte di me, però non appena inizia un incontro mi riscaldo, cambio testa. Divento l’uomo da battere».

Mouhiidine è un fuoriclasse anche nella disciplina, con una determinazione prima di tutto morale, che coincide con la capacità di non cedere a sirene comprensibili: «A nessuno va di allenarsi due volte al giorno, ogni giorno. Di rispettare le regole dell’alimentazione, di non uscire la sera con gli amici quando si avvicina un torneo di preparazione. Costruire la determinazione è fondamentale». È la stessa forza d’animo che ha respirato in casa: «Ho avuto non solo un padre eccezionale, ma una mamma che è stata, ed è, la roccia della famiglia. Per me fa da scudo in tutto, mi ha aiutato a scacciare dalla mente i pensieri brutti». Abbes si rivela l’antitesi dello stereotipo del pugile aggressivo, tanti muscoli e nessuna empatia. Lo chiamano «il gigante buono» (è alto un metro e novanta), un soprannome indovinato, che lui gradisce perché lo definisce: «Sono davvero così. I miei genitori mi hanno insegnato a essere generoso e disponibile. È sul ring che mi trasformo». Giusto per il tempo breve di un incontro, per le scintille nel recinto delle corde, nel sottofondo di un’armonia a due: «Di questo sport apprezzo l’eleganza e il rispetto reciproco che s’instaura tra gli sfidanti. In una delle finali mondiali che ho disputato, involontariamente il mio avversario mi ha dato una testata e mi sono rotto un sopracciglio. Ho fatto la gara con un occhio sanguinante. Alla fine, ci siamo abbracciati. Entrambi eravamo consapevoli di quanto sacrificio avesse dietro ogni singolo minuto».

Eccola la maturità di Mouhiidine, che porterà con sé in Francia. Le semifinali e le finali del pugilato saranno in un’atmosfera da mito, nello stadio del Roland Garros: «Sono andato a vedere una partita di Jannik Sinner, ho trovato un contesto bellissimo. La città freme, è prontissima ad accoglierci». Nel giorno della qualificazione, strappata un anno fa, nel giugno del 2023 in Polonia, Abbes ha pensato e urlato: «Papà, siamo a Parigi». Si era compiuta la prima metà del sogno: «Il nostro, il mio e il suo, non è solo quello di arrivare alle Olimpiadi, ma diventare campioni. Bisogna sempre aspirare al meglio». Inutile aggiungere per chi sarà la prima dedica se il gigante buono riuscirà a mettersi una medaglia d’oro al collo, non prima di essersi toccato il petto per tre volte.

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