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Alfano, il chirurgo che minacciava gli specializzandi con foto di teste mozzate a processo anche a Perugia per truffa

Alfano, il chirurgo che minacciava gli specializzandi con foto di teste mozzate a processo anche a Perugia per truffa

Minacciava gli specializzandi con foto di teste mozzate. Ma a rotolare tra due processi ora è la sua. È già sul tavolo della Procura di Salerno la vicenda di Carmine Alfano, il direttore della scuola di chirurgia plastica sospeso dopo gli audio-choc pubblicati da L’Espresso ma non è l’unica: il chirurgo, può rivelare Il Fatto, […]

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Minacciava gli specializzandi con foto di teste mozzate. Ma a rotolare tra due processi ora è la sua. È già sul tavolo della Procura di Salerno la vicenda di Carmine Alfano, il direttore della scuola di chirurgia plastica sospeso dopo gli audio-choc pubblicati da L’Espresso ma non è l’unica: il chirurgo, può rivelare Il Fatto, è da molti anni a processo per truffa e peculato anche in quel di Perugia, dove operava in cliniche private violando il contratto di esclusività col pubblico per il quale era profumatamente pagato. La vicenda giudiziaria è rimasta nell’ombra per 12 lunghi anni proprio come le vessazioni che – stando ad alcuni audio inediti che abbiamo raccolto – risalgono già a quell’epoca, e furono pure segnalate agli organismi accademici e universitari, cadendo però nel vuoto. La veemenza è analoga a quelli carpiti dieci anni dopo diffusi il 18 giugno scorso dal settimanale, ora al vaglio degli inquirenti.

L’Università ha sospeso Alfano dall’attività accademica e assistenziale presso il San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, dove dirigeva la scuola di specializzazione. Il Rettore Vincenzo Loia ha avviato un procedimento disciplinare e il 21 giugno una commissione ha audito 17 specializzandi. La maggior parte ha confermato la vita da incubo nelle grinfie del coordinatore della Scuola, alcuni di aver richiesto un sostegno psicologico in conseguenza dei suoi “briefing”. Negli audit sono stati riferiti numerosi episodi, come il sequestro di specializzandi per 10 ore in una stanza, minacce sostenute mostrando immagini di teste mozzate, insulti agli omosessuali e riferimenti al sesso orale nei confronti delle donne, a guisa di forma di dominazione.

Viene confermato anche l’utilizzo del reparto come mezzo per imperare e situazioni di disparità tra specializzandi, con maggiori opportunità di formazione chirurgica o di contributi per la partecipazione ai congressi per alcuni, ma non per altri. L’Università ha trasmesso alla Procura di Salerno copia dei verbali delle testimonianze al fine di valutare possibili notizie di reato.

Due reati, si scopre ora, tengono banco da anni a Perugia, dove Alfano ha lavorato tra il 2005 e il 2019 come direttore della chirurgia plastica e ricostruttiva dall’Azienda Ospedaliera. Nel 2008 aveva firmato un contratto con indennità di esclusività ma “con artifici e raggiri”, sostiene l’accusa, ingannava la dirigenza dell’azienda perché eseguiva interventi chirurgici “anche a pagamento” presso la Casa di Cura Maria Rosaria di Pompei e di San Michele di Sorrento “senza comunicarlo all’azienda Ospedaliera e non rilasciando ai pazienti le ricevute fiscali”. Da qui l’accusa di truffa con contestazione delle differenze tra il compenso percepito, pari a 253mila euro l’anno, e i 76mila che avrebbe dovuto percepire senza il vincolo di esclusività che gli aveva fruttato 177mila euro di indennità in più.

L’altra accusa è di appropriazione indebita per 12.200 euro ricevuti per le prestazioni a pagamento nelle due cliniche anziché presso l’ospedale con cui si era convenzionato. La prossima udienza si si celebrerà il 24 settembre, mentre in sede civile Alfano è già stato condannato a risarcire l’ospedale che ha ottenuto ragione dal giudice di prime cure ma non tutta la somma che richiedeva indietro, ragion per cui ha fatto ricorso alla Corte d’Appello di Roma.

Ex specializzandi raccontano, dietro garanzia di anonimato, che quando scattò l’indagine della Finanza per truffa, Alfano fece pressioni perché fornissero testimonianze concordate con lui per coprirlo. “Mi rifiutai e venni demansionato, isolato e umiliato”. Negli audio che registrò allora Alfano a uno di loro urlava: “Non mi devi rompere il cazzo, con un cazzotto ti apro la testa come un’anguria, oggi ti sei giocato la scuola ma è la mia scuola! Chi cazzo sei qua dentro? Chi cazzo sei? Fuoriiii”.

C’è una costante tra le due vicende così lontane nel tempo ed è la patologica mancanza di controllo sia su fatti specifici che sulla qualità reale della formazione in ambito sanitario. Dal 1999 esiste un Osservatorio istituito dal Ministero con 16 membri che doveva avere tre universitari e invece ne ha 8, ragion per cui difende lo status quo e l’interesse delle università a mantenere l’accreditamento da cui ricavano fondi e potere, finendo per ignorare le segnalazioni di abusi e difendere tutti gli Alfano del mondo.

La sospensione del direttore ha posto in seno all’organismo anche il tema del mantenimento dei requisiti della Scuola di Chirurgia plastica di Salerno, sia in ordine al rapporto minimo di un tutor ogni tre specializzandi, mentre con 12 discenti risulta di uno a sei, sia per il volume di attività dichiarata che è “in linea” con gli standard richiesti solo comprendendo l’area ricoveri della senologia, che attiene però all’oncologia. “Simili artifici vengono spesso avallati dall’Osservatorio anche di fronte situazioni limite come a Catanzaro, dove gli specializzandi in pediatria non hanno neppure un reparto”, spiega Massimo Minerva che con l’associazione Liberi specializzandi raccoglie le loro segnalazioni.

“Il caso Alfano è emerso per la sua mancanza di contegno, ma le illegalità sono pervasive. Vengono però coperte da un sistema universitario che le ignora e da un organismo di controllo che non si fa parte attiva, avendo entrambi maggiore interesse a mantenere gli accreditamenti anche quando le condizioni non ci sono. Per questo le segnalazioni interne cadono nel vuoto e finiscono poi a noi”. Accade anche per fatti gravissimi, come le molestie sessuali a Pavia da parte di un anestesista. “Le vittime lo avevano segnalato due anni prima nel questionario anonimo che il ministero somministra agli specializzandi, ma il controllore non si è fatto parte attiva e alla fine sono andate dai carabinieri, ma dopo due anni”.

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