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Violenza e botte ma l’uomo che l’ha picchiata non può pagare il risarcimento: lo Stato le versa 25 mila euro

Picchiata e abusata. Era il 2008: ora, a sedici anni di distanza, è lo Stato a riconoscere alla vittima il diritto all’indennizzo per quanto subìto.

La donna, origini sudamericane ma residente a Trieste, dopo i tre gradi di giudizio ha ricevuto un risarcimento danni di 25 mila euro dal ministero dell’Interno: è riuscita a dimostrare l’incapienza del suo carnefice, che quindi non l’avrebbe mai pagata.

È il primo caso a Trieste, anche se la violenza, all’epoca, si era consumata in Abruzzo, a Miglianico in provincia di Chieti, dove la donna lavorava come domestica nell’appartamento dell’uomo, oggi sessantottenne, che l’aveva pestata facendole sbattere la testa contro un mobile e poi l’aveva costretta a subire un atto sessuale.

La vittima aveva deciso di sporgere denuncia innescando le indagini e il procedimento penale, concluso con una condanna in primo grado sia per le lesioni che per l’abuso: cinque anni e sei mesi di reclusione con un risarcimento danni di 30 mila euro. Sentenza confermata in Corte di appello e in Cassazione.

La signora, che nel corso degli anni si è trasferita a Trieste, per ottenere l’indennizzo dallo Stato ha fatto domanda in Prefettura appoggiandosi all’avvocato Andrea Fassini. Il legale ha gestito la pratica con il ministero dell’Interno con il sostegno della Prefettura di Trieste. Il legale, documenti alla mano, ha portato le prove dell’incapienza dell’uomo, che vive con una pensione minima e non può contare su proprietà immobiliari. Un nullatenente, insomma.

Il Viminale ha erogato la somma tramite la Consap Spa (Concessionaria servizi assicurativi pubblici), una società per azioni interamente partecipata dal ministero dell’Economia e delle finanze che prevede un fondo ad hoc istituito a favore delle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei “reati intenzionali violenti”. La legge è estesa anche agli orfani dei crimini domestici.

Come si legge negli atti di indirizzo della società, sono considerati anche i «reati dolosi commessi con violenza alla persona, con particolare attenzione ai fatti di violenza sessuale e omicidio e al reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro». L’istituto è regolamentato da una legge specifica, la numero 122 del 7 luglio 2016: l’articolo 14 contempla proprio il fondo per l’indennizzo in favore delle vittime.

È sotto questo grande ombrello che rientrano le tutele economiche per le persone abusate che hanno diritto al risarcimento e non riescono a ottenerlo se l’imputato, dopo che la sentenza di condanna passa in giudicato, non dispone di mezzi sufficienti per pagare i danni.

Il ministero si è espresso a favore della signora con una delibera emessa lo scorso 10 maggio. Ma per richiedere il risarcimento la sessantacinquenne aveva presentato un’istanza il 30 dicembre 2020. Ci sono voluti quindi tre anni e mezzo per le pratiche burocratiche e gli accertamenti sull’insolvibilità del sessantottenne di Chieti: il legale della donna ha dovuto intraprendere una procedura esecutiva nel distretto giudiziario in cui risiede il condannato, il Tribunale di Chieti sezione di Ortona.

E dalle risultanze dell’istruttoria è emersa l’incapienza. In tutti questi anni la signora dovuto dimostrare di aver fatto di tutto per recuperare il denaro spettante. L’iter burocratico è stato lungo: non per un’inerzia ministeriale, bensì per le difficoltà di notifica degli atti al diretto interessato che non si faceva trovare.

La sessantacinquenne non ha potuto però beneficiare della cifra intera, cioè i 30 mila euro stabiliti con la sentenza di condanna, ma di 25 mila euro. Questo perché il ministero dell’Interno – attraverso la legge 122 che regolamenta il fondo utilizzabile – su quel totale non ha riconosciuto 5 mila euro, vale a dire l’ammontare quantificato per il reato delle lesioni.

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