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Il caso delle molestie al Pride spiega la crisi del giornalismo italiano

Disclaimer: questo è un articolo di opinione che riflette l’idea personale dell’autore e che non ha subito alcuna revisione o modifica da parte di Termometro Politico.

Nel mondo del giornalismo spesso e volentieri gli addetti ai lavori si arrovellano sulla famigerata crisi dell’editoria e sulle possibili soluzioni per arrestare l’inesorabile declino che investe tutto il settore, in primis quello della carta stampata. Dibattiti, festival, tavoli tematici e pensose articolesse si moltiplicano nel disperato tentativo di elaborare proposte utili a tenere in piedi una baracca che senza sovvenzioni statali sarebbe già crollata da un pezzo.

Personalmente, non so quale possa essere la ricetta giusta per rilanciare il giornalismo italiano e i sempre più illeggibili quotidiani: credo però di essermi fatto una certa idea sulle cause che determinano la fuga dei lettori e sulle dinamiche tossiche che avvelenano il racconto dei fatti. C’è un episodio in particolare, risalente ad alcuni giorni fa, che ha catturato la mia attenzione per due ragioni, ovvero per come è stato raccontato da alcuni organi di informazione e per come NON è stato affatto menzionato da altri. Un caso-scuola che la dice lunga sul modo in cui il contesto è in grado di condizionare la narrazione delle vicende che in esso si svolgono o di determinare la coltre di silenzio che talvolta viene fatta calare sui medesimi fatti.

La settimana scorsa ad alcuni di voi sarà capitato di leggere delle molestie denunciate da un gruppo di giornalisti al Pride di Milano. Se non avete mai sentito parlare di questa notizia, non fatevene un cruccio. Partiamo dalla nuda cronaca: per farla breve, lo scorso 29 giugno durante il Pride di Milano uno sconosciuto si infiltra a un punto stampa tenuto dalla segretaria del Partito Democratico Elly Schlein davanti al carro dei dem in Via Vittor Pisani e inizia a palpeggiare alcuni giornalisti impegnati a raccogliere dichiarazioni audio e video, toccandoli più volte nelle parti intime. Del fattaccio si viene a sapere il giorno seguente, ovvero domenica 30 giugno, quando le agenzie di stampa iniziano a rendere conto di quanto accaduto, seguite da alcuni siti web.

Uno di questi è Fanpage, che pubblica un’intervista alla sua cronista Chiara Daffini, l’unica delle vittime a esporsi con nome e cognome (sono in tutto quattro i giornalisti che hanno raccontato di aver subito molestie). Il PD è la prima forza politica a esprimere tempestivamente solidarietà ai malcapitati: in una nota i dem stigmatizzano la vicenda “vergognosa e inaccettabile” sottolineando che il presunto molestatore “non ha nulla a che fare” con il partito. Il comunicato è firmato dalla segretaria regionale del PD Lombardia Silvia Roggiani e dal segretario del PD di Milano Alessandro Capelli: la leader Elly Schlein, nonostante i fatti si siano consumati a pochi metri da lei, non si esprime pubblicamente sulla vicenda.

Si tuffano a capofitto sul caso, invece, quelli di Fratelli d’Italia: un gruppo di giornalisti palpeggiati alla manifestazione dell’orgoglio omosessuale sotto gli ‘occhi’ del PD è un’occasione troppo ghiotta da lasciarsi sfuggire per il partito di Giorgia Meloni, scottato dall’inchiesta di Fanpage su Gioventù nazionale e alla disperata ricerca di un diversivo per allentare la pressione mediatica su di sé. Questa storia, va da sé, è una manna dal cielo anche per la stampa di destra vicina al governo (da Libero al Giornale) che ovviamente cavalca l’onda senza tanti complimenti.

E i cosiddetti giornaloni? Qui viene il bello. Il Corriere della Sera parla del caso, fornendo una cronaca dei fatti molto asciutta. Chi invece ha cercato sulla Repubblica un resoconto di questo sgradevole episodio è rimasto molto deluso, perché sulla testata diretta da Maurizio Molinari, come nella migliore tradizione sovietica o nord-coreana, l’argomento viene scientificamente insabbiato.

Insomma, per Repubblica e per le altre principali testate del Gruppo Gedi, da sempre sensibili alle istanze del “me too” (ricordate il filone di interviste ad attrici semisconosciute che denunciavano molestie subite anni e anni prima, per non parlare della campagna contro gli Alpini?), il caso dei palpeggiamenti al Gay Pride semplicemente non è mai esistito. Forte era il timore negli ambienti milanesi della stampa progressista che questo fattaccio potesse gettare una cattiva luce sulla comunità Lgbt e macchiare il buon nome del Pride.

Sarebbero bastate anche poche righe, se non altro per mettere in fila i fatti e precisare come non vi fosse alcuna prova di un legame tra il molestatore e gli organizzatori dell’evento. Ma forse è chiedere troppo a un giornale che da sempre si pone come alfiere di grandi battaglie ideologiche sentendosi investito di un afflato messianico più che del compito di informare i lettori senza imboccarli con opinioni faziose. L’idea che alla giornata dell’orgoglio Lgbt potessero verificarsi molestie ai danni di persone che erano lì per lavorare probabilmente rappresentava un cortocircuito, una circostanza troppo complessa da schematizzare all’interno del binomio manicheo di Rep “buoni” contro “cattivi”, “progressisti” contro “fascisti & omofobi”, “noi” contro “loro”.

C’è da capirla, Repubblica, che con il Pride intrattiene un rapporto solidissimo: basti pensare che nel 2022 il direttore Molinari annunciò con una lettera ai dipendenti che la testata avrebbe partecipato con un proprio striscione alla sfilata gay di Roma: “In questi anni abbiamo cercato di connotare sempre più Repubblica come il giornale dei diritti”, scriveva l’ex numero uno della Stampa. Diritti che evidentemente non contemplano quello di lavorare al Pride in santa pace senza che qualcuno ti metta una mano in mezzo alle gambe.

Quello di Rep non è l’unico imbarazzante silenzio in questa faccenda. Muto come un pesce è rimasto anche il sindaco di Milano Beppe Sala, l’uomo coi calzini arcobaleno che forse temeva di inimicarsi una fetta importante del suo elettorato. Non una parola di solidarietà è arrivata dagli organizzatori del Gay Pride, l’ineffabile Cig Arcigay, sempre così solerte a manifestare sostegno agli esponenti della comunità omosessuale quando sono vittime di soprusi (evidentemente gli operatori dell’informazione coinvolti nella vicenda non erano della ‘scuderia’ e quindi non meritevoli del loro esclusivo e autoreferenziale supporto). Silenzio di tomba anche da parte dell’inutile Ordine dei Giornalisti, organismo che si manifesta ai suoi iscritti solo quando è il momento di reclamare i soldi della quota annuale.

Se il mondo della sinistra esce male da questa storia, la stampa di destra non può certo dirsi assolta. Ci si chiede, su alcune testate come Libero: cosa avrebbe fatto Rep se quelle stesse molestie si fossero verificate a un evento di Fratelli d’Italia o del centrodestra? Giustissimo, ma un quesito del genere è lo specchio dell’ipocrisia dell’informazione filogovernativa, i cui direttori difficilmente si sarebbero fiondati su una simile notizia in circostanze sfavorevoli all’esecutivo. Secondo l’Osservatorio sulle comunicazioni di Agcom lo scorso anno, in media, sono state vendute ogni giorno 1,41 milioni di copie di quotidiani, in calo su base annua dell’8,8%. Incredibile, penso tra me e me leggendo questo dato. Incredibile come questa gente riesca a vendere ancora così tanto.

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