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La storia di Manuel, il ragazzo citato dal vescovo di Trieste davanti al Pontefice

La delicatezza di quel passaggio, di quelle parole del vescovo Enrico Trevisi pronunciate davanti a Papa Francesco, sono una carezza sul viso di Manuel Riccio Bergamas: è lui il giovane triestino ammalato di Sla che il vescovo ha citato domenica mattina, 7 luglio, in piazza Unità davanti a migliaia di fedeli nei ringraziamenti conclusivi rivolti al Pontefice.

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Manuel ha 37 anni, vive immobilizzato in un letto da molto tempo. La patologia gli era stata diagnosticata nell’autunno del 2008, quando era ventunenne: i primi sintomi si erano manifestanti l’anno prima, a dicembre, con un tremolìo alle dita, che lui, allora ragazzo, aveva confuso con lo stress del periodo.

Aveva ripreso gli studi per ottenere il diploma di maturità alle serali, poi si era iscritto a Ingegneria. I primi sintomi, mano a mano che si facevano più insistenti, lo avrebbero costretto a passare a una facoltà più leggera, Storia, nella quale si sarebbe tuffato con passione. E che tutt’ora, nonostante la sua condizione, porta avanti con il desiderio di laurearsi.

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L’ indebolimento fisico nel corso degli anni è peggiorato progressivamente, rendendogli impossibile respirare, bere e mangiare da solo. Nel maggio del 2016 Manuel ha quindi accettato la tracheostomia.

Nel tempo ha perso l’uso della parola e non muove più nessuna parte del corpo, se non le pupille. Usa quelle per esprimersi, utilizzando un puntatore ottico che gli operatori gli posizionano davanti al volto. Il giovane è assistito giorno e notte.

Nel tempo, con una battaglia personale, è riuscito a ottenere dalle istituzioni un’abitazione per sé, attrezzata. Un suo diritto, una battaglia vinta.

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Il vescovo Trevisi, in questo suo primo anno di esperienza pastorale a Trieste, ha voluto conoscere di persona Manuel. Lo va a trovare e con lui si scambia spesso messaggi. E lo ha citato, lasciando piacevolmente sorpreso il Pontefice: «Lei ha nominato gli ammalati – ha risposto Papa Francesco – li conosce per nome. Ogni persona, sana o malata, ha una dignità. E lei conosce il nome, questo è molto bello».

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