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Elezioni in Francia e Regno Unito, due esempi di ciò che non funziona nel sistema maggioritario

Elezioni in Francia e Regno Unito, due esempi di ciò che non funziona nel sistema maggioritario

Prima o poi doveva accadere. Il sistema elettorale maggioritario, uninominale secco a un turno (Gran Bretagna) o a doppio turno (Francia), non è più in grado di fornire oggettiva rappresentanza politica tra le masse di votanti. L’eterno scontro che appassionava gli scienziati della politica alla fine del Novecento – proporzionale vs. maggioritario – con il […]

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Prima o poi doveva accadere. Il sistema elettorale maggioritario, uninominale secco a un turno (Gran Bretagna) o a doppio turno (Francia), non è più in grado di fornire oggettiva rappresentanza politica tra le masse di votanti. L’eterno scontro che appassionava gli scienziati della politica alla fine del Novecento – proporzionale vs. maggioritario – con il nuovo secolo sembra fornire inattese risposte. Basta guardare gli squilibri tra numero di votanti e seggi attribuiti nei singoli parlamenti proprio alle ultime elezioni britanniche di una settimana fa e francesi negli scorsi giorni.

Con il trasformarsi (l’esaurirsi?) dei cleavages rokkaniani, le scissioni cruciali che hanno modellato sistemi partitici e politici nel Novecento (alcuni esempi: stato/chiesa, città/campagna, capitale/lavoro, ecc..), diventa inevitabile anche l’incapacità del sistema maggioritario di rappresentare a livello legislativo (numero di parlamentari rispetto ai voti assoluti dei rispettivi partiti) le forze partitiche che da circa trent’anni rimescolano concretamente le suddette fratture (si veda soltanto l’antieuropeismo come scombussola le carte ideologiche novecentesche) postulate da Stein Rokkan e il collega Martin Lipset nel 1967. Insomma, che sta succedendo? Facciamo alcuni esempi numerici riferiti prima alle elezione inglesi di una settimana fa.

La Gran Bretagna vota con il sistema maggioritario con collegi uninominali ad un turno solo fin dal penultimo decennio dell’ottocento. Il maggioritario first past the post era modellato sulla contrapposizione netta tra Tories (gli attuali conservatori) e gli Whigs (di cui sono eredi alla lontana gli attuali Liberal Democrats). Con l’avvento dei partiti socialisti e poi marxisti nei primi del Novecento (in Inghilterra il Labour è legato fortemente alle Trade Unions, ai sindacati, come in nessun altro paese, e non ha avuto veri legami col comunismo russo post 1917), il maggioritario ha retto in quanto la forza di massa dei laburisti ha messo all’angolo quantitativamente e ideologicamente i LibDem fungendo da secondo polo nel sistema bipolare che proprio quel sistema elettorale aveva creato (Legge di Duverger, nda). Negli anni però i LibDem, mai capaci di andare oltre una dozzina di seggi nonostante percentuali a doppia cifra di votanti, hanno bussato comunque alla porta di Downing Street governando in una coalizione con i conservatori nel 2010.

Ebbene, cosa accade una settimana fa? Intanto i laburisti rispetto al 2019 prendono meno voti che nel 2024 (con Corbyn 10.269.076 voti, con Starmer 9.704.655 202), ma passano da 202 deputati a 414. I LibDem rispetto al 2019 hanno circa gli stessi voti (3 milioni e mezzo contro i 3 milioni e 600 di cinque anni fa), ma da 11 deputati passano a 72. Mentre quella che diventa la terza forza popolare tra gli elettori inglesi, il Reform UK di Nigel Farage, 4.117.221 voti, ottiene solo 4 deputati. Una tornata elettorale, quindi, che dimostra come il maggioritario a un turno (chi arriva primo subito anche con percentuali ben sotto il 50% vince il seggio) non sia stato in grado di rappresentare effettivamente la spinta popolare di un nuovo partito che, lo si ami o no, porta democraticamente una fetta enorme di elettorato (metà dei voti Labour di Starmer, ad esempio) pressoché dal nulla (un paragone appunto può essere fatto con i Labour di inizio Novecento). In conclusione i Lab con 9 milioni e settecentomila di voti prendono 414 seggi, Reform UK con 4 milioni e rotti di voti 4.

Cosa sarebbe successo con il proporzionale (un governo di centrodestra, ovviamente, conservatori più Reform o più LibDem)? E soprattutto cosa sarebbe successo se il vostro partito di riferimento venisse così sottostimato (e l’altrui avversario sovrastimato?) in termini di deputati rispetto al voto popolare? Secondo giro, secondo limite davvero plateale sulla rappresentabilità del maggioritario.

Dal 1958, ovvero dalla nascita della Quinta Repubblica con il generale De Gaulle, la Francia vira da una repubblica parlamentare pura (motivo di lamentela, la breve durata dei governi) a una repubblica semipresidenziale (elezione diretta del presidente della repubblica con l’esecutivo che viene scelto dal pdr e votato dal Parlamento) con, dal 1962, l’introduzione del sistema elettorale maggioritario al posto del proporzionale, qui nell’inedita vesta del doppio turno, dove se al primo turno il candidato vincente non arriva al 50+1% si va al secondo turno.

In estrema sintesi: per vent’anni, fino all’81 dominano i candidati sia a livello parlamentare che presidenziale (Pompidou e Giscard d’Estaing) attorno all’area gollista-conservatrice, poi toccherà ai socialisti con Mitterand mettere alla prova il sistema istituzionale ed elettorale. In pratica si forma la cosiddetta “quadriglia bipolare”, ovvero socialisti e comunista da una parte e i due partiti afferenti all’area gollista dall’altra (questo equilibrato sistema di partiti rimarrà tale fino all’invenzione del partito En Marche di Macron). Capitano anche periodi di “coabitazione” (presidente gollista e governi socialisti, ad esempio), ma la rappresentabilità del corpo elettorale non viene praticamente mai a mancare.

Poi arrivano le elezioni legislative 2024 dove è un sistema partitico oramai suddiviso in tre aree partitiche (sinistra, centro, destra) quindi multipolare e non più quattro separabili in due (comunisti e gollisti non sono pressoché più influenti nello schema suddetto) quindi bipolare, a presentarsi alle elezioni. E proprio nel momento in cui emerge come seconda forza, o addirittura prima, il Fronte Nazionale (oggi Rassemblement) iniziano i problemi. Prendiamo il primo turno di quindici giorni fa: il Rassemblement National di Le Pen e Bardella prende il 33% dei voti (10.647.914) vincendo in maniera evidente le elezioni (8 milioni e novecentomila i voti per il Nuovo Fronte Popolare – 28%-, 6 milioni e 400mila per il partito di Macron – 20%). Ma soltanto qualche decina di seggi viene assegnata al primo turno e laddove in tre quarti dei seggi rimasti è in testa il candidato di RN ma non oltre il 50+1, sia il Nuovo Fronte Popolare che il partito ad usum delphini di Macron fanno un patto di desistenza non avendo granchè in comune pur di non far vincere l’altro (il cosiddetto pericolo fascista).

E qui si compie il destino di una mutazione epocale rispetto all’inadeguatezza del maggioritario. Nonostante RN rimanga il primo partito, aumentando pure la percentuale al 37% (10 milioni e 200 mila voti), NFP diventa secondo scendendo a 7milioni di voti (25%) e Ensemble scendendo anch’esso (23%) è terzo. Ma a livello di seggi i numeri letteralmente si ribaltano: RN diventa il terzo partito con 142 seggi, Ensemble secondo con 150 e NFP primo con 178. In pratica sottorappresentazione della prima forza partitica francese e ingovernabilità totale tra i due “alleati” casuali che farebbe ammattire Duverger e tutti i teorici del maggioritario.

Arma oramai spuntata per dare una più equilibrata rappresentazione del voto popolare.

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