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Rosi Bindi: «Sì all’impegno politico dei cattolici per il Paese. Occorre mettere fine a una lunga latitanza»

Rosi Bindi: «Sì all’impegno politico dei cattolici per il Paese. Occorre mettere fine a una lunga latitanza»

foto da Quotidiani locali

TRIESTE «I cattolici si rimettano al servizio del Paese, della politica, ponendo fine a una latitanza che dura ormai da anni». È l’appello lanciato dall’ex ministro ed ex presidente del Pd Rosi Bindi, esponente di spicco del mondo politico cattolico, dopo le parole pronunciate a Trieste da Papa Francesco sulla democrazia.

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Secondo il Papa “oggi la democrazia non gode di buona salute”: condivide questa valutazione?

«Sì, e credo che tutta la Settimana sociale che si è svolta a Trieste sia stata molto importante, dalle parole del Presidente Mattarella a quelle di Papa Francesco, per affrontare questo tema. Il problema è duplice perché da un lato abbiamo la crescente indifferenza di una parte consistente dei cittadini, dall’altra c’è una politica che ha la presunzione di interpretare la volontà popolare senza ascoltarla realmente e senza creare le condizioni per una partecipazione più attiva».

Il Santo Padre ha parlato di una società dove prevale l’egoismo, che in questo caso fa rima anche con populismo...

«Si, la tendenza di tanti cittadini è quella di ripiegare nella disaffezione, nell’egoismo, di chiudersi nella propria avarizia come avrebbe detto don Milani. E a questo processo di allontanamento della gente si aggiungono i tentativi sovranisti e populisti di interpretare la volontà del popolo attraverso la volontà del capo. Una politica così fa volentieri a meno dei cittadini».

Che apporto possono dare i cattolici per promuovere un dialogo tra comunità civile e istituzioni che rimetta al centro il bene comune?

«Intanto bisogna ricordarsi che, come cattolici, apparteniamo alla comunità ecclesiale, ma come cittadini siamo tutti parte della comunità civile. A quest’ultima siamo chiamati a dare il nostro contributo con spirito di servizio, senza rinunciare mai ai nostri valori, che poi sono gli stessi sui quali si fonda la democrazia, a cominciare dalla dignità della persona, in dialogo con tutti e consapevoli che la laicità è uno dei grandi valori della democrazia. Certo che rispetto al passato risalta un dato di fatto».

Quale?

«Che non ci sono più le classi dirigenti provenienti dal mondo cattolico, quelle che hanno dato un apporto fondamentale a costruire il Paese, a cominciare dal periodo della Costituente. Negli ultimi anni questo contributo è mancato, c’è una sorta di latitanza che va superata. Anche in questo senso sono state importanti le parole pronunciate a Trieste da Mattarella, dal cardinale Zuppi, presidente della Cei, e da Bergoglio. Una crescente disaffezione c’è, è innegabile. Ed ecco perché dico che i cattolici devono rimettersi davvero al servizio del Paese».

Bergoglio ha parlato di accoglienza e inclusione, con l’invito a Trieste, città multiculturale, ad aprirsi agli ultimi, migranti in primis: l’esclusione sociale è un problema grave in Italia?

«Pensiamo alla questione migranti. Io credo che in questo momento storico per misurare il livello di qualità della democrazia, della politica in un Paese si debba partire proprio da lì: l’accoglienza e il dialogo tra le differenze sono il fondamento della convivenza civile. Vedo diffondersi una grande paura di tutto ciò che è diverso da noi. Ci sono progetti politici basati sulla paura, sul rifiuto dell’altro. E invece dovremmo essere un Paese che valorizza le differenze, non che erige muri nel tentativo di difendere il nostro benessere, tentativo del tutto illusorio».

Perché l’immigrazione non si può fermare?

«Processi di questo tipo sono strutturali e su scala mondiale, la politica lungimirante deve governarli, non subirli con paura o cercare di fermarli. L’errore negli ultimi trent’anni, in Italia, è stato proprio considerare l’immigrazione un’emergenza e non un fenomeno strutturale che durerà ancora decenni. Invece, oggi la politica inclusiva non solo è doverosa, ma è anche conveniente, è un investimento perché in questo modo si governa il fenomeno nel segno della speranza e del futuro, si integra e si valorizza. E non ci può essere democrazia se continua a crescere la disuguaglianza».p.t.

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