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Accesso abusivo alla banca dati: poliziotto condannato a 2 anni

Accesso abusivo alla banca dati: poliziotto condannato a 2 anni

Padova, la sentenza del tribunale anche per rivelazione di segreto d’ufficio

Aveva effettuato nella sua veste di poliziotto due accessi al sistema Sdi, la banda dati a disposizione delle forze dell’ordine che registra i precedenti di polizia di qualsiasi cittadino.

E lo aveva fatto nei confronti di due donne che frequentava, una delle quali (di professione legale) risultava indagata. Il 9 luglio il tribunale di Padova ha condannato F.G., 49enne padovano, a due anni di carcere (con la sospensione condizionale e la non menzione) per accesso abusivo a un sistema informatico abusando dei propri poteri e rivelazione di segreto d’ufficio.

La pubblica accusa – il pm Christian Del Turco della Dda di Venezia, la Direzione investigativa antimafia competente per materia – aveva sollecitato una condanna a tre anni e otto mesi. La difesa – l’avvocato Andrea Sanguin – aveva chiesto l’assoluzione.

L’imputato, non presente alla lettura della sentenza, si era difeso sostenendo che l’accesso al sistema era stato motivato dalla necessità di verificare se poteva frequentare le due donne in virtù del lavoro svolto: la prima era risultata una militante del Centro sociale Rivolta a Mestre; la seconda, invece, era indagata.

Ed è quest’ultima ad aver denunciato il poliziotto con il quale la relazione sentimentale era durata dei mesi ed era stata piuttosto conflittuale con reciproche denunce di stalking tutte archiviate. E a dichiarare di essere stata informata proprio dal poliziotto in merito alla sua iscrizione nel registro degli indagati.

La segnalazione era finita alla procura distrettuale – che si occupa di reati informatici – e l’indagine si era conclusa con una richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di F.G..

Tra l’1 febbraio del 2018 e il 29 gennaio 2020 risultano i due accessi allo Sdi da parte del poliziotto con la qualifica di assistente capo coordinatore, all’epoca in forze alla Digos.

Stando all’accusa, l’uomo avrebbe cercato di verificare se le donne che frequentava avevano problemi con la giustizia, rivelando poi all’avvocata che era indagata dal Nucleo di polizia tributaria di Torino nell’ambito di un’inchiesta su un malavitoso.

In base alla denuncia della legale, quelle informazioni sarebbero state impiegate per intimorirla prospettando gravi ripercussioni nella sua carriera.

Diversa la ricostruzione della difesa: l’imputato ha sempre ammesso di aver controllato la banca dati come risulta dalle tracce online, spiegando di averlo fatto che accertarsi chi frequentata, in particolare dopo aver saputo dalla legale che era stata indagata.

In più avrebbe potuto utilizzare le informazioni come spunti investigativi. Il tutto era stato riferito al suo capo che aveva confermato la versione durante una delle udienze. Tuttavia il poliziotto non è stato creduto. Entro tre mesi le motivazioni della sentenza poi (quasi scontato) il ricorso in appello.

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