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Faso lancia i suoi Elii: «Una nuova canzone? È uno scenario probabile»

Faso lancia i suoi Elii: «Una nuova canzone? È uno scenario probabile»

foto da Quotidiani locali

«Un disco? No, non ci sono più le condizioni. Ma una canzone ogni tanto, quella sì: direi che è uno scenario molto probabile». A otto anni dall’ultimo vero album (“Figgata de Blanc”, 2016), a sette dal ritiro (seeeeee!), a pochi mesi dalle reunion, ecco l’annuncio che riaccende gli animi delle migliaia di fave (così si chiamano gli adepti del complessino) di tutta Italia: gli Elio e le Storie Tese ritorneranno a produrre. Niente album, ma qualche singolo qua e là, «perché la musica è cambiata, e ormai si fa così», svela Faso, storico bassista della band milanese. Sabato prossimo, 13 luglio, gli Eelst saranno allo Stadio San Vigilio di Montebelluna al “Mattorosso Music Festival”, nuova tappa dell’appendice estiva del tour “Mi resta solo un dente e cerco di riavvitarlo”.

La vera novità è che non ci sarà il batterista svizzero Christian Meyer.

«Una premessa: quello cominciato l’anno scorso doveva essere un “tourettino”, organizzato per accontentare le tante persone – alcune addirittura commosse - viste al “Concertozzo”, l’evento che ci ha riuniti sotto la spinta del Trio Medusa. Il “tourettino” si è trasformato in 44 date tutte sold-out: continuare anche d’estate è diventato naturale. Christian, per partecipare alle 44 date, ha rinviato molti suoi progetti, compreso un disco con Paolo Fresu: rimandare ancora tutti i suoi appuntamenti era impensabile. Ecco allora che abbiamo investito su due giovanissimi, nostri fan, che Christian stesso aveva conosciuto nei suoi clinic, Paolo Rubboli e Riccardo Marchese».

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A tal proposito, si vocifera di problemi insorti con un fantomatico sindacato…

«Esattamente, lo Sburre: il “Sindacato batteristi uniti rock and roll elvetico”. Hanno preteso l’installazione di un colpigrafo nelle batterie dei nostri pupilli, un po’ come i tachigrafi dei camionisti. Dopo tot colpi, il batterista si deve fermare. Ora, se fossero i batteristi di Gazelle, il monte-colpi basterebbe per sei date. Con noi, in tre brani è già esaurito: ecco perché durante il concerto si dovranno alternare. Sarà uno switch sindacale. Scherzi a parte, quando li abbiamo provinati uno ha dimostrato di essere fortissimo in alcuni brani, l’altro in altri ancora. Ci siam detti: perché non prenderli entrambi? Erano galvanizzati, ci seguono da sempre e di colpo si sono ritrovati sul palco con noi. E’ come se mi chiamasse Peter Gabriel e mi chiedesse di suonare domani a Timbuctu: io parto anche a piedi!».

La tua conversazione telefonica a fine di “Servi della Gleba”, le corse leggiadre di Supergiovane in tutina verde-nera, Mangoni con la scopa roteante durante “Tapparella”: ormai le vostre gag sono diventati quasi momenti liturgici ai concerti. I fans vengono dagli Elii come i fedeli a messa: è un’esagerazione?

«Mi piace questa immagine ma diciamo che siamo più una setta, una setta buona. Anzi, lo ha detto bene Elione: i nostri concerti sono un po’ un Fight Club. Si varca il cancello e cadono tutte le regole, d’età, di genere, di inclinazioni. Sì, anche d’età: giuro che ho visto nonni portare i nipotini ai nostri live».

Avete viziato il vostro pubblico con un tour, con tanto di appendice estiva: c’è da aspettarsi anche un nuovo album?

«Ma no, l’attualità musicale è un’altra: siamo ritornati ai tempi di mia mamma, quando si andavano a comprare i 45 giri con due canzoni. Oggi si comprano canzoni, il modello è quello di Spotify, ed è questo lo scenario più plausibile: un pezzo ogni tanto. Lo ritengo probabile anche per noi. Produrre un disco, per come lo concepisce il nostro complessino, è uno sforzo notevole: nei nostri album anche il dodicesimo brano potrebbe essere il singolo per le radio. Per ora siamo orientati verso qualcosa di meno impegnativo».

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Impazzano i “featuring”: Faso e gli Elii con chi ne farebbero uno ora?

«Non mi interessa sinceramente con chi, penso solo alla musica. Farei un singolo anche con chi mi sta altamente sulle balle, se il pezzo merita. In realtà in questo momento soffro molto per la povertà compositiva devastante che si avverte nella musica di oggi. Su trenta brani, ne salvo forse uno, probabilmente è un pezzo dance o disco. E mica servono capolavori, basta che funzioni. Qualche anno fa, ad esempio, mi ero innamorato de “L’esercito dei selfie”».

In questi ultimi tempi siete gettonatissimi anche per le pubblicità, peraltro con grande varietà di marchi e target. Come ve lo spiegate?

«Ce lo siamo chiesti anche noi: devo dire che una serie di pubblicità come questa non ci era mai capitata. Penso che sia dovuto al fatto che abbiamo un pubblico trans-generazionale, oltre al fatto che sappiamo essere allegri, simpatici, spensierati e pure scorretti quando serve, ma mai offensivi e fastidiosi. So che qualcuno ci ha criticato, dandoci dei venduti. La risposta è semplice: “Bimbo bello, se non si vendono i dischi, dovremo pur lavorare”. Che poi il mio sogno professionale è fare la pubblicità di un profumo francese e finire guardando in camera ammiccando e dicendo qualcosa tipo: “Le parfum de l’essence de la maison de la chanson”. Sono uno degli sfigati che alle medie e alle superiori ha studiato francese invece dell’inglese, “perché quella sarà la lingua del futuro”: ecco, così posso dare un senso a tutto».

Solitamente quando un artista va in una città a suonare gli si chiede: “Cosa ti lega a questa città?”. Facile con Roma, Milano o Napoli. Qui ti voglio: che rapporto vi lega con Montebelluna?

«Ah beh ma questa è facile. Nel 1985, quando ci siamo messi insieme, abbiamo scritto sul nostro statuto che un giorno saremo venuti a suonare a Montebelluna. Giuro, messo proprio nero su bianco. Ecco, sabato veniamo a onorare quella promessa!».

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