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Turandot guida la sfida di riportare l’opera al Castello di San Giusto a Trieste

Turandot guida la sfida di riportare l’opera al Castello di San Giusto a Trieste

foto da Quotidiani locali

TRIESTE Grande attesa e curiosità per il ritorno al Castello di San Giusto dell’opera lirica. Debutta infatti mercoledì 10 luglio, alle 21.15 – la “Turandot” di Giacomo Puccini, nell’allestimento del Verdi di Trieste per la regia di Davide Garattini Raimondi. Sul podio Enrico Calesso che affronta la sua prima “Turandot”. «A prescindere da dove la si esegue, Turandot è un’incredibile manifestazione non solo del genio pucciniano – dice Calesso – ma anche di tutta la musica del XX secolo ed è veramente un peccato che Puccini non l’abbia finita perché dagli schizzi, per certi versi incomprensibili per altri veramente visionari, che si possono vedere sul manoscritto emergono degli elementi di modernità pazzesca».

Quale finale ha scelto per questo debutto al Castello di San Giusto?

«Abbiamo deciso di finire con la scena della morte di Liù, un momento di grande intensità musicale dai riverberi cameristici, in cui il coro sfuma in “pianissimo” tutto il suo intervento supportato dall’apporto strumentale di pochi solisti dell’orchestra. E il mio lavoro di questi ultimi mesi è stato quello di approfondire l’analisi della partitura per vedere come arrivare a questo momento clou nel migliore dei modi».

È problematico avere l’orchestra quasi allo stesso livello del palcoscenico?

«È una situazione che naturalmente presenta delle particolarità assolutamente uniche. La disposizione dell’orchestra più in larghezza che in profondità comporta degli aggiustamenti a livello di puro artigianato musicale ovvero bisogna vedere come ci si sente gli uni con gli altri e come si costruisce il suono migliore fuori dalla buca. Poi va detto che il rapporto ravvicinato con il palcoscenico consente di interagire in modo più diretto anche con i cantanti e questo, a livello musicale ma anche psicologico, può facilitare e migliorare la concertazione e il dialogo. Spero perciò che il suono che produrremo possa essere gradevole ed omogeneo per tutta la platea, sempre nell’intento di gestire al meglio l’acustica di questo luogo affascinante».

Turandot è opera lunare e, in questo caso, eseguita sotto un cielo di stelle. Qual è il momento più commovente della partitura?

«Ce ne sono diversi, uno dei quali è sicuramente quello della morte di Liù. Ma il momento che mi arriva dritto al cuore, per pregnanza musicale e profondità psicologica, è quando lei dice di essere la sola a conoscere il nome del principe ignoto e per tutta risposta Calaf, che non sospetta minimamente il sacrificio che lei si appresta a compiere per amore, riesce solo a dirle ‘Tu non sai nulla, schiava’. Qui Puccini riprende il tema della caduta e dell’abbandono del primo atto, lo capovolge e in quattro note crea uno spunto melodico lancinante, con delle dissonanze pazzesche e in cui dentro c’è tutto, dall’enorme amore e dedizione di Liù al disprezzo di Calaf che, dal punto di vista morale, in questo momento non è diverso da Scarpia o da Pinkerton».

Dunque un capolavoro per una grande sfida...

«Era da tanto tempo che non si facevano le opere al Castello di San Giusto e quindi ci vuole un grande coraggio e una grande consapevolezza dei propri mezzi per intraprendere questa bellissima iniziativa. Il Teatro Verdi ha realizzato negli ultimi anni meravigliosi allestimenti di Turandot, un’opera che conosce benissimo. Qquindi questa è una sfida strepitosa che facciamo con entusiasmo, con il desiderio e l’intento di riprendere l’opera estiva al Castello non in maniera sporadica ma portando avanti il progetto in maniera continuativa per il nostro ma anche per un pubblico internazionale. Un progetto propedeutico a una grande ripresa degli spettacoli sotto la luna e le stelle, con uno sguardo fiducioso al futuro di questa città meravigliosa».

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