Milano Cortina: spuntano nuove intercettazioni
L'ex dirigente della Fondazione Milano Cortina 2026 Massimiliano Zuco in alcune intercettazioni, agli atti dell'inchiesta della Procura di Milano sulla gestione dell'evento olimpico, si sarebbe riferito «esplicitamente a verosimili fenomeni corruttivi», ponendo «l'attenzione su un giro di mazzette che coinvolgerebbe quantomeno un dirigente di Deloitte», la società che aveva preso l'appalto sui servizi digitali, dopo che era stato tolto alla Quibyt, società dell'imprenditore Luca Tomassini, anche lui indagato. In un'annotazione della Gdf, infatti, si parla della «seconda gara per i servizi digitali», previa «estromissione di Quibyt», e del «ruolo di Deloitte», a cui fu affidata «tale fornitura» sotto la «gestione Varnier», ossia dell'ad Andrea Varnier.
Gli investigatori fanno notare come Deloitte Consulting «fosse già in rapporti economici attivi con la Fondazione» con un «contratto di sponsorizzazione» da 21 milioni di euro. Gli inquirenti in relazione a questi rapporti e all'appalto per i servizi digitali, come si legge, indagano su un «presunto giro di mazzette». In alcune intercettazioni di aprile tra Zuco e Tomassini, il primo parla anche «dell'ampio potere discrezionale dell'attuale» ad della Fondazione Varnier.
«È super appoggiato ma è super appoggiato per uno scopo politico - dice - controllare Malagò, evitare che passano certe strategie». E fa riferimento al «maggior costo - scrive la Gdf - per la Fondazione di quattro milioni di euro, dovuti dall'Ente a Deloitte per produrre ex novo il sito e conseguentemente gestirlo». Zuco dice: «Si butta trentamila euro e spendine quattro per far contenta Deloitte, ma come si fa».
E ancora: «Tutto sto giro qua si tiene intorno a Deloitte». Parla di un «giro di mazzette» e indica anche il nome, riportato negli atti, di un «dirigente» di Deloitte. Nelle carte, tra l'altro, ci sono intercettazioni, sempre di aprile, anche di altri responsabili della Fondazione. Uno di questi dice: «Preferisco il vecchio sito che il nuovo bacato, con la quale facciamo una figuraccia». E lo definisce «impresentabile».
Malagò indicò la nipote di Draghi all’ex Ad
È «quantomeno singolare» come il presidente del Coni Giovanni Malagò «investa Draghi Livia», nipote dell'ex premier Mario Draghi e che sarebbe stata assunta nella Fondazione Milano Cortina 2026 «su indicazione» dello stesso Malagò, «di un potere maggiore rispetto a quello di Novari», l'ex ad, «al quale suggerisce di seguire le indicazioni di una sua sottoposta». Lo scrive il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano.
Il passaggio si trova in un'annotazione depositata al Tribunale del Riesame e agli atti dell'inchiesta milanese su presunti appalti truccati e tangenti nella gestione dell'evento delle Olimpiadi e Paralimpiadi, ma anche su assunzioni di persone legate al mondo della politica. Nell'informativa del 25 giugno scorso la Gdf, coordinata dall'aggiunta Tiziana Siciliano e dai pm Francesco Cajani e Alessandro Gobbis, riporta numerose intercettazioni e stralci di verbali. Come quello di Vicenzo Novari - indagato e interrogato dai pm - il quale spiega che «il presidente Malagò mi segnalò il curriculum di Livia Draghi (...) precisandomi che ovviamente era un curriculum da valutare con attenzione», ma che «la decisione sarebbe stata solo mia» e «vidi che quella persona lì era esattamente quello che stavo cercando».
Spunta il nome di Lorenzo La Russa
Agli atti anche un'intercettazione nella quale Novari, parlando con la moglie, dice: «Malagò mi aveva detto stai a sentì la Draghi (...) Fregatene di tutto il resto». In sostanza, riassume la Gdf, Novari raccontava al telefono che «Malagò gli aveva indicato di seguire le indicazioni di Livia Draghi», la quale «non vedeva di buon occhio l'assunzione della sorella» di un dirigente Rai.
Uno dei capitoli dell'annotazione delle Fiamme Gialle riguarda i «dipendenti della Fondazione» e si intitola «fenomeni clientelari e assenteismo senza alcun tipo di controllo interno».
Atti da cui emerge, come scrive la Gdf, che «i candidati presso la Fondazione, sotto il mandato di Novari, erano individuati prima ancora della selezione». E che il «personale era individuato da Novari e Malagò».
Una responsabile delle risorse umane, sentita come teste nell'inchiesta, ha parlato anche dell'assunzione nell'ente di Lorenzo La Russa, uno dei figli del presidente del Senato: «Vi era la situazione di tale La Russa Lorenzo - ha messo a verbale - che non ho mai capito di cosa si occupasse in fondazione e che vedevo raramente al lavoro, il quale, a fine 2021, si candidò e fu eletto come rappresentante civico nel consiglio comunale di Milano. Ciò ha fatto sorgere dei dubbi sulla conciliabilità contemporanea dei due ruoli ricoperti».
Esattamente La Russa fu eletto per Fratelli d'Italia consigliere del Municipio 1. Per la testimone «non vi era un sistema per controllare l'operatività del singolo dipendente» e «di fatto la situazione così concepita concedeva al personale poco diligente di imboscarsi». Agli atti, tra l'altro, c'è anche un'intercettazione del 19 aprile scorso tra Andrea Vernier, attuale ad della Fondazione, e Malagò, nella quale il primo «si lamenta del fatto che Antonio Marano non svolga le proprie mansioni sebbene pagato e beneficiario persino di un benefit non contrattualizzato», ossia una macchina «con autista a spese della Fondazione».
Vernier, come si legge negli atti, diceva: «Lui già non fa un caz.. farà ancora meno». E Malagò: «Comunque io ci parlo davanti a te, gli dico 'Antò noi dobbiamo essere (...) Essere adesso più realisti del re».