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Tre cantierini morti per amianto: assolti i due imputati rimasti

MONFALCONE Antonio Zappi, già dirigente di Italcantieri, oggi 89enne, e Roberto Schivi, 86 anni, all’epoca capo del personale, sono stati assolti con la formula “perché il fatto non sussiste” in relazione all’ipotesi di reato di omicidio colposo legato al decesso per amianto di tre cantierini che avevano lavorato a Panzano.

La sentenza è stata pronunciata ieri (lunedì) mattina, nell’ambito dell’udienza dedicata alle repliche, già dunque affrontata la discussione finale. Il giudice monocratico Marcello Coppari s’è ritirato in Camera di consiglio poco dopo le 10 per uscire poco prima di mezzogiorno, nel dare lettura del dispositivo. È la prima volta che il Tribunale di Gorizia emette una sentenza assolutoria, pur trattandosi negli altri casi di pene, quelle fino a ieri stabilite, progressivamente ridotte in virtù della comune accusa di omicidio colposo contestata in tutti i processi conclusi rispetto a un unico contesto.

Il Collegio difensivo era composto dagli avvocati Matteo Pagano, del Foro di Genova, Giancarlo Laganà, del Foro di Roma, Guglielmo Giordanengo e Matteo Letorio, entrambi del Foro di Torino. Parti civili costituitesi la Regione Friuli Venezia Giulia, l’Inail, la Fiom Cgil, oltre agli avvocati rappresentanti i familiari delle parti offese, i lavoratori deceduti a seguito dell’esposizione professionale all’amianto.

Il pubblico ministero, Giulia Ferri Faggioli, al termine della sua requisitoria, aveva affermato la penale responsabilità dei due imputati rimasti, posizione in linea con le parti civili. Il giudice s’è riservato 90 giorni ai fini del deposito delle motivazioni alla sentenza.

Una sentenza, quindi, che ha segnato di fatto un “cambio di passo” rispetto ai precedenti processi incardinati a Gorizia, sempre all’insegna della condanna degli imputati. In sede di Appello, invece, le sentenze degli ultimi due processi amianto avevano già stabilito l’assoluzione. Gli ex cantierini deceduti considerati nel procedimento in questione sono Claudio Cidin, che aveva lavorato dal 1958 fino al 1992 ed era deceduto il 10 maggio 2009, Tristano Papais, la cui attività professionale era iniziata nel 1969 per concludersi nel 1975, con il decesso avvenuto il 15 gennaio 2009, e Dino Moneti, che aveva operato nel cantiere navale dal 1943 fino al 1979, un lasso di tempo nel corso del quale si erano susseguite due gestioni, con Cantieri Riuniti dell’Adriatico a confluire nel 1966 in Italcantieri. Si attende di conoscere il sostanziale ragionamento che ha formato la decisione del giudice rispetto all’assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste”.

Dal canto loro, le difese hanno sostenuto due aspetti di fondo: su tutto hanno “abbracciato” la giurisprudenza ormai consolidata secondo cui va considerato l’intero processo di cancerogenesi, dalla sua formazione fino al suo completamento, oltre il quale le successive esposizioni all’amianto non hanno “efficacia” e non incidono sull’ulteriore aggravamento o sulla correlazione dell’evento di morte. Le difese hanno battuto proprio sul fatto che, nei tre casi specifici, il processo di cancerogenesi non è noto. Con ciò quindi mettendo in dubbio che i due imputati abbiano effettivamente coperto tutte le relative posizioni di garanzia dei lavoratori. Insomma, non è stato possibile far “combaciare” il completo svilupparsi della malattia con le funzioni ricoperte dagli imputati.

Sempre le difese hanno sostenuto che gli imputati non sono penalmente da ritenersi responsabili poiché Italcantieri era un’impresa complessa e aveva un servizio di sicurezza e un direttore di stabilimento a Monfalcone, con diretto contatto con le maestranze. Zappi e Schivi, invece, svolgevano la loro attività presso la sede centrale di Trieste.

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