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L’insegnante angelo custode, soccorre i due ragazzi in moto rimasti feriti nell’incidente a Gemona

GEMONA. Soccorrere un ferito della strada è obbligatorio per legge. Ma per Violetta Braglia è stato anche un obbligo morale. Un gesto che può fare la differenza nel salvare una vita o contenere l’entità dei danni fisici subiti.

Lei – gemonese di 45 anni, insegnante-educatore dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale, che lavora con ragazzi con disabilità intellettiva e autismo – si è trovata a essere la persona giusta al momento giusto.

Domenica 14 luglio sera alle 23 circa, rientrando da una giornata al mare, si è imbattuta nell’incidente stradale in via Zorutti all’incrocio di via Maitani (a Gemona) che ha visto lo scontro tra un furgone e una moto e il grave coinvolgimento di due sedicenni.

Non ci ha pensato su due volte e si è precipitata a prestare i primi soccorsi in attesa dell’intervento dei sanitari, giunti con un’ambulanza e un elicottero.

«La situazione mi è apparsa subito chiarissima e grave – racconta –: la moto era distrutta, benzina e sangue si mescolavano. Uno dei ragazzi così come è caduto non si è mai mosso e il suo respiro era lento e rumoroso. L’altro era presente ma rantolava. Bisognava intervenire. Abbiamo monitorato il battito di entrambi e chiamato i soccorsi».

Da quel momento in poi Braglia ha coadiuvato le operazioni fino all’arrivo dei sanitari del 118. «Lavoro con la disabilità intellettiva, possono presentarsi situazioni in cui è necessario osservare, essere lucidi, concentrati e intervenire – spiega –. Quei ragazzi potevano essere i miei figli: sono mamma di uno di 5, 15 e 17. Tutti i giovani sono i figli della società, è un dovere sociale conoscere le modalità di intervento e riconoscere le situazioni di gravità».

Nel mentre le persone si riversavano in strada, ognuna contribuendo secondo le proprie possibilità, conoscenze o competenze: chi fermando il traffico, chi indicando il luogo dell’incidente ai sanitari, chi cercando i documenti nell’attesa dell’arrivo dei carabinieri della stazione di Paularo e dei vigili del fuoco del distaccamento di Gemona, per la messa in sicurezza della viabilità.

«Il ragazzo cosciente era agitato, urlava dal dolore e piangeva dalla paura – continua Braglia –, ma si fidava di me. Cercavo di tranquillizzarlo, rassicurandolo che non li avrei lasciati mai soli, che ero lì per loro, che sarebbe andato tutto bene. Mi ha chiamata “mamma”, prendendomi le mani e aggrappandosi ai miei capelli. Meraviglioso l’arrivo dei soccorsi, velocissimi nel valutare e agire. Un sistema sanitario competente che quando serve funziona».

La donna, assieme ad altre persone, è rimasta ad aiutare anche dopo l’arrivo dei soccorritori e dopo che i ragazzi erano stati portati via. «Lottavo con loro e per loro. Sono tornata a casa con il loro sangue addosso, ora sono un po’ miei quei ragazzi – conclude –. Ma tutti eravamo lì per aiutare. Un lavoro di squadra di una comunità che si interessa all’essere umano».

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