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La Corte di giustizia accusa la Commissione Ue di poca trasparenza: “Non ha permesso l’accesso ai contratti per i vaccini Covid”

La Commissione Ue di Ursula von der Leyen non ha concesso al pubblico un accesso sufficientemente ampio ai contratti stipulati con le cause farmaceutiche per l’acquisto di vaccini anti Covid. Non solo. In particolare l’infrazione riguarda le clausole di indennizzo e le dichiarazioni di assenza di conflitto di interessi dei membri della squadra negoziale che ha lavorato alla compravendita in questione. È quanto stabilito dalla Corte di giustizia europea, che ha accolto il ricorso di vari cittadini ed eurodeputati dei verdi contro il rifiuto alla richiesta presentata nel 2021 di avere accesso ai documenti relativi ai contratti. Nella fattispecie la Corte ha esaminato due ricorsi di un gruppo di cittadini (presentato dal francese Fabien Courtois) e di un gruppo di eurodeputati dei Verdi (presentato da Margrete Auken).

Cosa chiedevano i ricorsi – I giudici europei hanno ricordato che nel 2020 e nel 2021 sono stati stipulati tra la Commissione e alcune imprese farmaceutiche contratti di acquisto di vaccini contro Covid per circa 2,7 miliardi di euro, soldi che sono stati rapidamente resi disponibili per effettuare un ordine fermo di oltre un miliardo di dosi di vaccino. Nel 2021 alcuni deputati europei e alcuni privati hanno chiesto, sulla base del regolamento sull’accesso ai documenti 1, l’accesso a tali contratti e a taluni documenti ad essi relativi per comprenderne i termini e le condizioni e per assicurarsi che l’interesse pubblico fosse tutelato. Poiché la Commissione ha concesso solo un accesso parziale a tali documenti, che sono stati messi in rete in versioni oscurate, i deputati europei interessati e alcuni privati hanno investito il Tribunale dell’Unione europea di domande di annullamento. Nelle sue sentenze, il Tribunale ha accolto parzialmente entrambi i ricorsi e annullato le decisioni della Commissione nella parte in cui esse contengono irregolarità.

Gli indennizzi – Per quanto riguarda le clausole dei contratti relative all’indennizzo delle imprese farmaceutiche da parte degli Stati membri per eventuali risarcimenti che esse dovrebbero pagare in caso di difetto dei loro vaccini, il Tribunale ha sottolineato che il produttore è responsabile del danno causato da un difetto del suo prodotto e la sua responsabilità non può essere soppressa o limitata, nei confronti del danneggiato, da una clausola esonerativa o limitativa di responsabilità ai sensi della direttiva 85/374. Detto ciò, nessuna disposizione della direttiva 85/374 vieta a un terzo di rimborsare gli importi pagati a titolo di risarcimento da un produttore a causa della difettosità del suo prodotto. In tal senso la Corte ha ricordato che la ragione per la quale le clausole relative all’indennizzo sono state integrate nei contratti – vale a dire compensare i rischi corsi dalle imprese farmaceutiche connessi all’abbreviazione del termine di messa a punto dei vaccini – era stata avallata dagli Stati membri ed era di dominio pubblico. Anche per questo motivo, a sentire i giudici, la Commissione non ha dimostrato che un accesso più ampio a tali clausole avrebbe effettivamente arrecato pregiudizio agli interessi commerciali di tali imprese. Non solo. Nel dispositivo si legge anche che la Commissione non ha fornito spiegazioni sufficienti che consentissero di capire in che modo l’accesso alle definizioni di “dolo” e di “ogni ragionevole sforzo” in taluni contratti e alle clausole dei contratti relative alle donazioni e alle rivendite dei vaccini avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio a tali interessi commerciali.

Privacy o mancanza di trasparenza? – Per quanto riguarda la tutela della vita privata delle persone invocata dalla Commissione per negare parzialmente l’accesso alle dichiarazioni di assenza di conflitto di interessi dei membri della squadra negoziale per l’acquisto dei vaccini, il Tribunale ha ritenuto che i privati interessati abbiano debitamente dimostrato il fine specifico di servire l’interesse pubblico della divulgazione di dati personali di tali membri. Infatti, è solo in possesso dei loro cognomi, nomi e del loro ruolo professionale o istituzionale che essi avrebbero potuto verificare che i membri in questione non si trovassero in una situazione di conflitto di interessi. Inoltre, la Commissione non ha preso sufficientemente in considerazione tutte le circostanze pertinenti al fine di soppesare correttamente gli interessi in gioco, connessi all’assenza di conflitto di interessi e a un rischio di pregiudizio alla vita privata degli interessati. In tutto ciò, il ricorso di annullamento mirava a far annullare atti delle istituzioni dell’Unione contrari al diritto dell’Unione. A determinate condizioni, gli Stati membri, le istituzioni europee e i privati possono investire la Corte di giustizia o il Tribunale di un ricorso di annullamento. Se il ricorso è fondato, l’atto viene annullato. L’istituzione interessata deve rimediare all’eventuale lacuna giuridica creata dall’annullamento dell’atto. Contro la decisione del Tribunale può essere presentata impugnazione alla Corte entro due mesi e dieci giorni a decorrere dalla data della sua notifica, limitatamente alle questioni di diritto.

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