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Nespoli verso la sua quinta Olimpiade: «Pronto a lasciare ancora il segno»

Nespoli verso la sua quinta Olimpiade: «Pronto a lasciare ancora il segno»

foto da Quotidiani locali

VOGHERA. Il conto alla rovescia verso Parigi è cominciato per Mauro Nespoli. Il 36enne campione vogherese (è nato il 22 novembre 1987), capitano del team azzurro di tiro con l’arco, si prepara alla sua quinta Olimpiade con legittima aspirazione alla quarta medaglia pregiata: in bacheca, ci sono già l’oro e l’argento a squadre (Londra 2012, Pechino 2008), e l’argento individuale conquistato a Tokyo.

Nespoli, i Giochi iniziano tra meno di 15 giorni: si sente pronto? Che stagione è stata finora?

«Mi sento abbastanza pronto. Mi sarebbe piaciuto arrivare a Parigi con qualche vittoria in più ma nonostante non sia stata la mia miglior stagione olimpica, sono convinto di avere sufficienti risorse per lasciare il segno».

A Parigi farà i tre tornei: individuale, a squadre, mixed team?

«Sicuramente parteciperò al torneo individuale e a squadre. Per il mix team è plausibile supporre che il più in forma ai Giochi gareggerà in coppia con Chiara Rebagliati. Posso dire che è un obiettivo che ho nel mio mirino».

Ambizioni di medaglia?

«Chi, tra i partecipanti, legittimamente non le ha? Il livello è cresciuto molto e le classifiche si sono decisamente accorciate. Tutti sappiamo fare 10, porterà a casa medaglie chi ci crederà di più».

Gli avversari più temibili, sia nell'individuale che a squadra?

«A squadre è facile pensare che la Corea del Sud abbia concrete chance di vincere ma non sottovaluterei la Turchia. Hanno lavorato molto per affiancare due atleti di qualità a Mete Gazoz, come dimostrato al Mondiale. Nell’individuale, i pronostici sono pressoché impossibili»,

Parigi sarà la sua quinta Olimpiade. Ci sarà anche una sesta?

«Iniziamo a concentrarci sulla quinta! Il tiro con l’arco non è mai stato facile per me e negli ultimi anni ho faticato più di quanto ho lasciato vedere».

Ha già iniziato a pensare al dopo, a quando smetterai con l'agonismo?

«Queste sono domande trabocchetto! Sarei bugiardo se dicessi che mi vedo andare in pensione tirando con l’arco, ma nessuna delle alternative a cui penso al momento ha vinto la medaglia d’oro».

Quando da bambino ha cominciato a tirare con l'arco, sognava una carriera così brillante?

«Onestamente sì; sebbene il sogno olimpico sia poi maturato guardando le Olimpiadi di Sidney, ho sognato di diventare il più forte in assoluto fin dalle prime frecce nel prato all’Aprica».

I suoi principali maestri?

«I miei maestri sono tutti gli arcieri in giro per il pianeta e tutte le persone incontrate nella mia vita, non solo nell’arco. La contaminazione di culture, di modi di fare e pensare mi ha permesso di creare o trovare la mia identità. Posso dire di rimpiangere l’essere stato poco attento durante le ore di filosofia al liceo...».

Il momento più esaltante della sua carriera?

«Il prossimo vale come risposta? Mi fermo poco a pensare a quanto fatto in carriera per non sentirmi appagato e continuare ad alimentare la fame curiosa per quello che ancora può accadere».

E quello più deludente?

«Fino a qualche mese fa avrei potuto elencarne a centinaia: ogni freccia sbagliata, ogni gara persa, ogni momento in cui l’emozione mi ha fatto lo sgambetto. Adesso rispondo che non sarei qui e non sarei chi sono senza tutti quei momenti. E tutto assume un altro colore».

Lei e la pesista Lucrezia Magistris sarete gli unici pavesi ai Giochi. A Tokyo eravate parecchi di più. Sintomo di una crisi o comunque di un momento di difficoltà dello sport pavese?

«Non metto in dubbio che ogni atleta abbia dato l’anima per ottenere il massimo risultato perché è nella nostra stessa natura. Mi permetta però di dire che non esiste una vera e propria politica dello sport pavese. Le associazioni faticano a trovare stabilità e continuità, la riforma dello sport ancora non ha raggiunto la sua formula definitiva, l’impiantistica continua a essere insufficiente, i costi non smettono di crescere. A mio modo di vedere, non è realistico credere di ottenere risultati stabili e duraturi in questo contesto. Ci vuole coraggio di osare, di cambiare, di spostare l’asticella più in là… Non è questa l’anima stessa dello sport?»

Voghera è sempre nel suo cuore...

«Sono nato a Voghera, sono cresciuto e vivo a Voghera. È la mia città e non smetterò mai di pensarla così. I problemi ci sono, non ho le fette di salame (rigorosamente di Varzi) sugli occhi... Ma possiamo continuare a lamentarci autolesionisticamente senza sosta al bar e sui social, oppure rimboccarci le maniche e fare la nostra parte».

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