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L’intervista. Stefania Craxi: “Il Ddl Nordio? Nel segno della giustizia giusta. La sinistra è massimalista”

Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia e presidente della Commissione esteri di Palazzo Madama, figlia di Bettino, grande leader socialista, parla con il Secolo della riforma della giustizia, annichilisce il cosiddetto campo largo e continua a considerare la sinistra espressione del massimalismo.

La riforma Nordio è un primo passo verso ciò che voleva Craxi, dà una giustizia più giusta e dà maggiori garanzie per il cittadino. Qual è il suo giudizio?

È indubbiamente un passo in avanti, si muove nella giusta direzione e affronta alcuni nodi non secondari, ponendo in parte rimedio a una legislazione che ha avuto i suoi natali anche in anni recenti e i cui effetti distorsivi non hanno mancato di incidere negativamente nella vita politica e amministrativa del Paese. Mi riferisco all’abrogazione dell’abuso d’ufficio, ma soprattutto all’articolo della riforma che introduce la possibilità per l’indagato di porre in essere una sorta di “difesa preventiva”, prima che vengano emesse eventuali misure come la custodia cautelare in carcere. Non parliamo quindi di quisquiglie, ma della libertà personale dell’individuo, un bene superiore e inviolabile in uno stato di diritto! Quanto a completare il disegno immaginato da Craxi servirà tempo e, ancor più, un disegno di riforma costituzionale complessivo della materia che dia vita a un riequilibrio dei poteri dello Stato. Sulla separazione delle carriere, ad esempio, è già stato presentato in Consiglio dei ministri un primo ddl che spero possa prendere al più presto il largo. Nel complesso il giudizio è quindi positivo. Anche perché l’ottimo è da sempre nemico del bene.

Il caso Toti sembra evidenziare molte perplessità sul piano giuridico. Che ne pensa?

Tralasciando per un solo attimo il giudizio di merito, il rigetto in toto da parte del Tribunale del riesame della richiesta di revoca della misura cautelare sia, in subordine, delle richieste di attenuazione della misura, rafforzano nell’opinione pubblica, come in larga parte del mondo politico-istituzionale, anche nei settori meno ideologici dell’opposizione, l’idea che l’obiettivo che si vuole raggiungere sia quello di ottenere le dimissioni di Toti. Trovo deboli le ragioni addotte, il rischio di reiterazione del reato, e considero queste un assurdo logico. Ma davvero qualcuno crede che possa reiterare il reato? E poi, sulla base di cosa? Di valutazioni del tutto soggettive sulla persona? Suvvia! Così facendo si crea una indebita pressione, si dilatano i tempi e si allunga il calvario. E poi, questa misura cautelare, come ha scritto lo stesso Cassese, non tiene conto del buon andamento dell’azione amministrativa, del diritto dell’eletto e anche degli stessi elettori. Sono certa che la Cassazione non potrà che porre un argine a una misura restrittiva irragionevole.

Suo padre è ricordato anche per l’autonomia espressa a livello internazionale. Crede che abbia pagato per questo?

Diciamo che non è solo ricordato per l’autonomia espressa in campo internazionale – che dovrebbe essere propria di ogni Paese sovrano e guidare l’agire di ciascun uomo delle istituzioni – ma soprattutto per la sua visione strategica. Sui temi oggi al centro dell’agenda internazionale, dal Mediterraneo al rapporto con il Sud Globale, passando per le questioni migratorie, la “pace armata” e via dicendo, aveva capito tutto per primo e per tempo, indicandole come emergenze del nostro tempo. Credo che la sua “colpa” principale sia quella di aver difeso l’autonomia della politica in un frangente in cui il primato era conteso da altri poteri, non democratici, ma non per questo meno forti. È quello che fece anche, a scapito della propria vita, in quel discorso verità pronunciato alla Camera del 3 luglio 1992. I risultati di quella sua sconfitta, che coincide con la sconfitta della politica, li abbiamo già visti nel ventennio successivo. Credo che, in scienza e coscienza, ogni cittadino libero e intellettualmente onesto possa fare la sua analisi e trarre le conclusioni.

La sinistra italiana sembra lontana anni luce da una versione riformista. È sempre una sinistra massimalista?

C’è stato un tempo in cui a modo loro, con le iperboli di cui sono capaci e sempre senza fare i conti con la loro storia, hanno provato a darsi, senza successo, un’identità riformista. O meglio, a dire il vero hanno provato ad usurparla, visto che il riformismo non ha mai fatto parte della loro cultura e non ha mai riguardato questa sinistra. Sono tentativi a cui non ho mai dato credito – e non solo perché muovevano su base strumentale e interessata – ma che comunque ci sono stati nel corso dei decenni passati. Oggi, invece, la svolta è all’insegna di un ritrovato massimalismo all’insegna di un politicamente corretto di maniera, dietro al quale si celano vecchie ideologie. Sono anti-occidentali, giustizialisti, demagoghi, nemici del mercato: per loro la ricchezza (degli altri, sia ben inteso!) è un male che va estirpato. Il voto europeo, a suo modo, li ha incoraggiati a seguire la strada della radicalizzazione. È una prospettiva che però non tiene conto della maggioranza degli italiani e dei ceti produttivi, quelli che il lavoro lo danno, lo creano.

Cosa direbbe alle forze di centro che la Schlein chiama nel “campo largo”?

Ma quale campo largo! È un’edizione posticcia, ancora peggiore, della vecchia Unione. Un insieme di individualità, sigle e follie, tra loro in lotta, che porterebbe il Paese alla deriva consegnandolo all’instabilità cronica e alla paralisi! Pensiamo ai temi internazionali: hanno posizioni opposte e inconciliabili. Pertanto, con tutta evidenza, per una forza che si dichiara di “centro” non può essere questo il campo di gioco. Non è lo spazio in cui, le loro idee, il loro approccio, possono avere diritto di cittadinanza. Servirebbero solo a fare la foglia di fico, a dare una nuance meno accesa a questo massimalismo 4.0, ma non avrebbero alcun modo di incidere nelle politiche e nella cultura di un’area che, da Conte a Schlein, passando per Bonelli e Fratoianni, ha scelto la radicalizzazione e la difesa dello status quo. Non c’è posto per chi ha cultura liberal-socialista o un approccio del fare. Sono i figli del “tassa e spendi”, dell’assistenzialismo becero e del falso egualitarismo che nulla hanno a che fare con una qualsivoglia prospettiva riformista. Li invito pertanto a non cedere a pulsioni velleitarie e a lavorare insieme a Forza Italia per rafforzare l’area moderata del centrodestra e dare forza e voce a quella “maggioranza silenziosa” che chiede serietà e buon governo.

Craxi era molto stimato dalla destra: l’incontro con Almirante, Sigonella… Che ricordi ha di quegli anni?

Beh, diciamo che su Sigonella, nell’immediato, non ci fu proprio grande sintonia, almeno con una parte del gruppo dirigente. Anzi, la contestazione a Craxi dai banchi dell’allora Msi fu dura e forte. Basti vedere le immagini della discussione alla Camera e le urla, tra l’imbarazzo di Almirante, di alcuni deputati missini. Diciamo che, come spesso accade, in quella occasione i loro militanti erano molto più avanti di un pezzo di classe dirigente. Il socialismo tricolore, che affondava le sue radici nel pensiero risorgimentale e nell’idea di patria, è però un’eredità importante da non disperdere. È un qualcosa che può vivere nelle idee di fondo da cui muoveva, nella consapevolezza che gli interessi nazionali non possono, oggi come allora, che coltivarsi in un ambito più largo e non in un ridotto nazionalista. Questo vale per tutti, ma ancor più per una realtà come quella italiana.

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