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Von der Leyen: alla fine Giorgia Meloni sceglie di non scontentare i ‘fasci’ e vota contro

L'obiettivo rimane quello di ottenere un portafoglio pesante, come spetta a un grande Paese, da affidare al fidatissimo Raffaele Fitto, che rimane il principale candidato a traslocare a Bruxelles

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Troppo fascia per i conservatori e poco fascia per i fasci. Alla fine Giorgia Meloni ha scelto di non scontentare i fasci ma senza spaventare troppo i non fasci.

iIl voto contrario alla riconferma di Ursula von der Leyen non influenzerà le relazioni tra Roma e Bruxelles, e l’Italia vedrà comunque riconosciuto il suo ruolo. Giorgia Meloni e i suoi sostenitori sono convinti di questo, esprimendo sollievo per la posizione “coerente” che la premier difende sia in pubblico che in privato.

La stessa Meloni, a fine giornata, ha scherzato sulla questione, dopo che Fratelli d’Italia ha sorpreso gli alleati votando contro il secondo mandato della presidente della Commissione. Tuttavia, la premier ha rassicurato i suoi collaboratori affermando di avere “un buon rapporto” con von der Leyen e di voler continuare a collaborare. Il punto di disaccordo non riguarda la persona, ma le decisioni che, secondo Meloni, non riflettono il “cambio di passo” richiesto dagli elettori europei.

La mossa decisiva è maturata in mattinata, dopo avere ascoltato il discorso della presidente in pectore all’Eurocamera e dopo che è arrivato il sostegno ufficiale dei Verdi. «Con quel sì von der Leyen sapeva che non si poteva aspettare i nostri voti», spiegano i meloniani. Un ragionamento che le due avrebbero affrontato anche nella telefonata che ha preceduto le votazioni. Forse anche perché ha seguito passo passo quello che succedeva a Strasburgo Meloni è arrivata per ultima al vertice della Comunità politica europea di Oxford. E dai giardini di Blenheim Palace registra nel pomeriggio un messaggio brevissimo, in cui sintetizza la posizione italiana. Il no è arrivato sulla scia di quello già espresso nel momento della designazione della tedesca, al Consiglio europeo di fine giugno: «Siamo rimasti coerenti con la posizione di non condivisione del metodo e del merito» scandisce guardando in camera la premier – che non incontra i giornalisti italiani inviati al summit. Ma si tratta di una questione «politica», spiegano i suoi, che niente ha a che vedere con la trattativa, che si apre ufficialmente già da queste ore, per la posizione da riconoscere ai Paesi all’interno del nuovo esecutivo europeo. La collaborazione «non sarà compromessa», lo stesso verbo utilizzato per chiarire che ora ci si aspetta in ogni caso per l’Italia un ruolo «di peso».

Che non si stabilisce nelle dinamiche parlamentari, che più di un dirigente di Fdi non prevede affatto lineari nei prossimi mesi, ma è frutto del fatto che l’Italia è «paese fondatore, la seconda manifattura e la terza economia». Oltre ad avere «il governo più stabile».

L’obiettivo rimane quello di ottenere un portafoglio pesante, come spetta a un grande Paese, da affidare al fidatissimo Raffaele Fitto, che rimane il principale candidato a traslocare a Bruxelles, anche se si dovrà indicare pure il nome di una donna. Non ci sarebbero insomma, nella narrazione dei meloniani, i rischi paventati dalle opposizioni di avere messo l’Italia all’angolo, in una posizione irrilevante. Un portafoglio pesante che Von Der Leyen non avrebbe al momento potuto garantire all’Italia, nell’ultimo contatto avuto con la premier italiana, senza l’accordo con gli altri leader. Un accordo che ,se fosse dipeso direttamente dalla presidente della Commissione, si sarebbe anche potuto fare – spiega chi è vicino alla trattativa.

Alla vigilia del voto nel governo non mancava, comunque, chi era pronto a scommettere che alla fine sarebbe arrivato un sì dal partito di maggioranza relativa. A partire da Forza Italia. Tanto che, raccontano fonti parlamentari, quando Meloni ha spiegato ad Antonio Tajani che la scelta del suo partito era di coerenza, la reazione del vicepremier e ministro degli Esteri sarebbe stata tagliente: «Di troppa coerenza si muore». Il no, in ogni caso, evita alla premier di scoprirsi troppo a destra e di offrire il fianco alle accuse di «inciuci» che Matteo Salvini non ha mancato di lanciare comunque a chi ha votato a favore del bis. «Difficile – ironizzano in Fdi – che oggi la Lega abbia da festeggiare».

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